Il Baguazhang di Sun Lutang

Perchè ho scelto e pratico questo stile di Baguazhang, legato a Sun Lutang? Questa è la domanda che ogni praticante mi fa, quando ci conosciamo e cominciamo a parlare di stili e metodi. Nel mondo delle arti marziali cinesi il nome di Sun Lutang è molto noto e citato, il più delle volte a sproposito, perchè alla fine è diventato una specie di oggetto di studio sociologico a posteriori. La sua vita, intensa e spesso difficile, si presta a molte considerazioni, tutte basate su ricostruzioni e ricordi. I suoi libri sono molto citati, ma di rado sono stati letti, studiati e capiti, per non dire praticati. Il suo metodo è poco conosciuto anche oggi, perchè Sun viaggiò molto nella sua vita, dovette spostarsi spesso da un posto all’altro per poter lavorare, e pochi dei suoi allievi ebbero modo di seguirlo a lungo. Sun non si interessò mai ad una discendenza ufficiale, perchè era lontano da certi schemi, non gli si confacevano. Oltretutto eravamo in un tempo dove le influenze positive, gli incroci di sistemi, i confronti con altri insegnanti venivano integrati, perchè lo scopo era essere capaci ed abili al momento dato, non essere coreograficamente “diversi”.

Il suo Baguazhang è sempre stato un metodo “speciale” per tutti i praticanti dell’epoca: pochi principi (niente forme infinite), un modo di sviluppare il corpo e il movimento in torsione, passi circolari e potenza connessa per colpire efficacemente. Al Baguazhang si arrivava dopo un lungo percorso marziale personale, non si cominciava mai dal Baguazhang perchè ha richieste psico-fisiche troppo alte per un principiante. A Sun occorsero tre anni per entrare nel profondo del metodo, ma aveva alle spalle quasi vent’anni di pratica di cui tredici di Xingyiquan. Sicuramente possedeva un talento personale per le arti marziali, non sovrumano (anche qui l’aneddotica tende a mitizzare troppo spesso), ma delle grandi capacità. Non serviva reinventare i cinque pugni o i dodici animali, che bastavano già da soli, ma solo acquisire una nuova qualità di rotazione – torsione – avvolgimento, che avrebbe trasformato quello che lui già faceva.

La figlia di Sun, Sun Jianyun, non fu una praticante di Baguazhang, da giovane seguì il padre nel Taijiquan, l’ultima arte di Sun, e non come invece avevano fatto i figli maschi, purtroppo scomparsi giovani. Ad oggi quel che resta sono i suoi libri, una testimonianza importante che ha segnato un’epoca e creato il nuovo prototipo del maestro marziale letterato che la Cina di allora cercava per riscattare la sua immagine dopo la rivolta dei Boxer a Shanghai. Anche volendo andare a scandagliare oggi in Cina cosa resta di Sun e del suo metodo, si tratta di un lavoro improbabile a causa delle troppe contaminazioni.

La discendenza di Cheng Tinghua è molto chiara nello stile Sun, anche se la scelta degli Otto Animali è un elemento nuovo al tempo, presente trasversalmente in tutte le scuole di Baguazhang, la cui origine è ancora più misteriosa del suo fondatore. Sappiamo che Sun scrisse il Baguaquanxue sedici anni dopo la morte del suo maestro per timore che il suo metodo andasse perduto, come lui stesso scrisse. Già i metodi del Baguazhang andavano evolvendosi, modificandosi, trasformandosi, come si vede nel libro di Sun Xikun, di pochi anni dopo, simile ma già diverso. Il rischio era ed è di finire per diluire i principi, diventando un modo di “distinguersi” invece che un modo di assomigliarsi. Ognuno cercava di rendere il suo metodo unico a livello visivo, anche a costo di perdere l’aderenza alla realtà, e così dettagli tecnici di secondaria importanza divennero chiavi stilistiche fondamentali, al punto di dimenticare a cosa serviva la tecnica.

Nel tempo anche il Baguazhang perse la sua originale sinteticità e si sviluppò in mille metodi fatti di forme, sequenze, catene tecniche, perchè la sua “trascrizione tecnica” fu fissata da ogni scuola in modo cristallizzato, sempre allo scopo di distinguersi dagli altri. Un esempio sono i 64 palmi, lineari o circolari, che furono curati dopo la morte del fondatore da personaggi quali ad esempio Liu Dequan o Gao Yisheng, che avevano studiato Baguazhang con le prime generazioni, ma erano fortemente influenzati da altri sistemi. Mano a mano si andarono infatti aggiungendo elementi di Baji, Xingyi, Yingzhao, Luohan, Tantui, Tanglang, Shaolin (per non citarne che alcuni), sicuramente utili per spiegare alcune possibili applicazioni. Tutto giusto, ma spesso andarono ad appesantire e a limitare il movimento naturale del corpo che il Baguazhang intendeva sviluppare. Oggi spesso si ricorre ad un altro sistema per far “funzionare” il Baguazhang nel lavoro a due. A memoria posso citare almeno tre scuole che insegnano il Tanglang, il Bajiquan o lo Xingyiquan per spiegare l’applicazione pratica del Baguazhang, come se il Baguazhang non avesse applicazioni sue.

Il Baguazhang di Sun Lutang è estremamente semplice e sintetico (ma non facile), non perchè manchino elementi, come molti pensano, di dover aggiungere altre cose per “allungare il brodo”, ma perchè gli Otto Animali, i due Cambi di palmo e la postura di Wuji e Taiji contengono già tutto il metodo dentro, e non hanno bisogno altro che di una lunga pratica da solo e di un ancora più profondo confronto a due o più, a mani nude e con armi. Bisogna tornare a quel tempo per capire. Due principi, uno orizzontale, uno verticale e gli obliqui, e ben otto atteggiamenti legati a otto animali sono davvero una montagna di lavoro, se applicati nella realtà del combattimento per professionisti del settore, che dovevano allenare ciò che serviva e non 花手”hua shou”. E non esistono forme come le intendiamo noi oggi, perchè i principi sono singoli e ben individuati e vanno sviluppati attentamente e autonomamente. La forma uno se la costruisce dopo, se vuole, quando ha digerito i principi.

Poco è tanto, come insegna la ghianda della quercia. Il seme del principio va sviluppato: prima deve morire per poter essere fecondo, come insegna la Natura. Questo è il messaggio concreto di Sun, più preoccupato di ricordare i principi originari del Baguazhang, della sua conoscenza e di preservarlo, che di diventare famoso per un tipo speciale di movimento. In quasi quarant’anni di pratica e ricerca ho avuto modo di toccare molte discendenze di Baguazhang, alcune in maniera approfondita, altre in modo più superficiale. Ho avuto la fortuna di lavorare su almeno venti stili diversi, di alcune delle discendenze principali: Yin Fu, Cheng Tinghua, Liang Zhenpu, Ma Gui, Zhan Zhankui, e di approfondire la scuola Cheng delle terze e quarte generazioni fino alla scuola Gao, sia dalla Cina che da Taiwan, e via via fino alle quinte e seste generazioni oggi viventi.

Al momento di dover scegliere uno stile per praticarlo a fondo, la cosa è avvenuta in realtà come un processo evolutivo silenzioso per molti anni, e alla fine istintivamente mi sono reso conto che ho cercato tre caratteristiche per me irrinunciabili:
– la brevità della discendenza (nel caso di Sun siamo alla terza generazione, quindi meno manipolazioni e interpretazioni possibili)
– il metodo precedente al 1949 (dopo questa data tutti i metodi in Cina hanno sofferto molto per la rapida scomparsa dei vecchi maestri e gli allievi si sono sviluppati spesso da soli e di nascosto)
– l’essenzialità e la compattezza del metodo (i principi altrimenti si perdono in mille raffinatezze tecniche non essenziali).

Ho studiato e ristudiato per una vita il metodo di Sun con molti insegnanti europei, statunitensi, cinesi. Ho incrociato le referenze di questo metodo con molti altri sistemi interni ed esterni, e non solo orientali. Ho recuperato l’originale e almeno cinque traduzioni diverse dal cinese del Baguaquanxue e le ho confrontate. Nessuno maestro ha la verità finale del metodo, anche perchè dovremmo chiederla direttamente a Sun e non ai suoi successori. Ma il messaggio della sua pratica è molto coerente e forte: praticare, praticare, praticare, non ci sono altri segreti in questo mondo. La comprensione passa attraverso la pratica. Il metodo di Baguazhang di Sun richiede che il praticante entri dentro lo spirito della postura e del movimento, e che lo sviluppi con attenzione e con umiltà, verificando ogni passaggio e ogni movimento con la realtà del combattimento.

Non ci sono segreti: se c’è esperienza del combattimento, del corpo e del movimento naturale, ogni postura parla.

Questo è il punto zero del Baguazhang. Non una scatola, uno stampo in cui rientrare, una forma da ripetere in modo brillante e atletico, ma un movimento interno del corpo (quello del cielo anteriore) da vivere fino a diventare noi stessi un flusso unico in otto direzioni. Non perdo l’occasione di ricordare che Lianhuanzhang non è il nome di una forma, ma il principio profondo e sottile della continuità di movimento e intenzione. Anche Youshenzhang è un livello di pratica, non una forma, successivo a quello del Lianhuan ed applicato ad avversari, che contiene il principio di movimento naturale nel combattimento, come lo possiamo vedere nel Jianwu dell’Yiquan. Otto pali in movimento per costruire il corpo, due cambi principali per comprendere le dinamiche del movimento, e otto parole chiave per andare nelle applicazioni, nel cielo posteriore, dove le tecniche nascono naturalmente dal lavoro precedente e dall’esperienza di ognuno.

Baguazhang è una “macchina perfetta”, nella sua totale inafferrabilità: non è una forma – ma un modo di muovere il corpo e la mente, di trasformarsi e cambiare la realtà nel momento in cui vi entriamo. Baguazhang dice che dobbiamo diventare così abili, veloci e potenti da riuscire sempre ad adattarci. Con questa grande abilità possiamo controllare l’avversario. Sun parla sempre di Hua, trasformare. La trasformazione per eccellenza è quella dalla vita alla morte. La tecnica, alla fine, è davvero secondaria, ma il corpo e il suo condizionamento sono primari. Per questo amo il Baguazhang di Sun Lutang, perchè è semplice e onesto. Basta fare bene quel che abbiamo davanti a noi, ovviamente restando aperti a considerare qualsiasi esperienza come una verifica del lavoro fatto. Minimalismo funzionale. Nessuna concessione estetica. Lavoro nel profondo. Dalla mia esperienza, questa è una garanzia di successo.

Sto cercando di trasmettere questo alle prossime generazioni, perchè davvero anche questa qualità naturale del movimento non vada perduta. E’ una cosa che comunque avviene già da quando Dong stesso trasmise per la prima volta il Baguazhang, e so che molti insegnanti in gamba condividono questo pensiero, e lo insegnano di conseguenza.

Buona pratica.

Nella foto: Nove Palazzi in versione Fast & Furious con Sergio, Yuri e Monica, novembre 2016

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Sulla strada cosa funziona?

Quali sono i consigli che un esperto praticante di arti marziali, non più giovanissimo, potrebbe suggerirti, se gli chiedi che cosa funziona sulla strada e nella vita? I consigli sono sempre una cosa personale, ognuno ha i suoi o la vede in un certo modo, ma ci sono cose che tornano sempre, che tutti ripetono, e quelli in genere sono i migliori. Ecco alcuni dei più bei consigli che ho trovato validi.

1. Correre, camminare velocemente
Piuttosto che correre preferirei una camminata veloce, perchè è facile farsi male correndo, cosa che può metterci fuori uso per diverso tempo. Se abiti in un contesto urbano, è possibile trovarsi davanti più assalitori. Se pensi di poter distanziare dei ragazzi di vent’anni correndo, non hai una visione reale delle cose. Cerca di negoziare se possibile, ma se devi andarci dentro, fallo velocemente e brutalmente.

2. Saccone
Ottimo training, ma con un saccone è facile che ci si faccia male da soli. Se è un po’ che pratichi arti marziali, questa è una fase che hai già visto anni fa, e comunque non riuscirai a mettere ko un giovane, perchè nel frattempo hai perso una buona percentuale della tua forza fisica. Concentrati sulle dita, palmi, gomiti applicati sui punti deboli come occhi, orecchie, gola, genitali, ginocchia. Porta sempre scarpe solide, non i sandali.

3. Pesi
Ok, vanno bene, aiutano a tenere su la muscolatura e la forza delle ossa. Usali in scioltezza e velocità non per il volume muscolare ma per la resilienza. Usa il corpo per muovere i pesi, non le braccia.

4. Fajin
Se non hai ancora il Fajin, allenalo e imparalo bene , perchè a quanto pare non si deteriora nel tempo. Ha il vantaggio della sorpresa. Sequenze di fajing sono preziose alleate per concludere un incontro, il colpo singolo non basta quasi mai.

5. Forme
Sono utili per l’equilibrio, e se sono realistiche possono funzionare bene come boxe con le ombre. Usale per connettere il corpo da dentro (lavoro interno!!!) e non da fuori…

6. Armi
Dimenticati quelle tradizionali, pensa piuttosto a carte di credito, chiavi, monete in un fazzoletto, bastoni, bottiglie, ombrelli.

7. Confrontati
Continua a insegnare e di tanto in tanto buttati in mezzo con i tuoi allievi, è facile pensare di essere ancora allo stesso livello di prima: solo se provi capisci se è vero.

8. Consigli per un buono stile di vita
– Niente bevande gassate (ossa indebolite e diabete)
– Fast food al minimo (obesità, pancia da birra)
– Sonno regolare (tempi di reazione)
– Esercizi oculari (percezione dello spazio)
– Meditazione (mente chiara nel momento del confronto)
– Praticare le “fruste” del corpo (aumenta la velocità)

(tratto da: “The Rum Soaked Fist MA Forum”, un forum che ha un senso, non come altri forum italiani 🙂

Incontri 2018 Europa

Anche quest’anno saremo in giro per il mondo a dare qualche corso di Neijia. Tutti i miei istruttori e allievi sono invitati a prendervi parte e accompagnarmi, se ne hanno la voglia o l’opportunità, perchè si tratta sempre di incontri dove si porta a casa moltissimo, sia in termini tecnici che umani.

Bologna, 8 aprile 2018, mattino e pomeriggio

Lo Xingyiquan è l’anima del Gongfu cinese, un’arte con centinaia di anni di storia e di raffinamento. Conoscere lo Xingyi è uno dei modi più sicuri per entrare nell’ottica marziale interna e comprendere le dinamiche sottili dell’arte del combattere. L’obiettivo è di dare una visione dei principi fondamentali dei Cinque Movimenti, il lavoro di preparazione e le chiavi interne per lavorare lo Xingyiquan in profondità.

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14 e 15 aprile 2018, “Archipel” a Strasbourg (Francia)

Dopo vent’anni è con grande piacere che torno a Strasburgo per un incontro su Baguazhang e Taijiquan presso la scuola “Yang Jia Mi Chuan” del m.o Frederick Plevniack a Strasburgo (Francia) ad aprile 2018. Frederic è un appassionato di spada, una persona squisita e membro di una associazione molto viva, che tra l’altro ha creato il più longevo evento del Taijiquan in Europa, i famosi “Rencontres Jasnieres”. Nello studio delle basi del Baguazhang andremo ad esplorare tutti i punti di contatto tra queste due arti interne e rivedendo alcuni degli esercizi più utili per allenare il corpo in modo ergonomico ed efficace.

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Dal 6 al 13 luglio 2018, Università di Stirling, Scozia (UK)

Il mio consiglio è di non perdere l’occasione di partecipare al principale avvenimento europeo di Neijia a luglio 2018: una settimana di Taiji, Neijia, Qigong, Tuishou e armi, il tutto nella cornice spettacolare dell’università scozzese di Stirling. Oltre vent’anni di esistenza l’hanno rodata a perfezione, ed è sempre un grande momento per confrontarsi e scoprire tanta buona pratica e tanti nuovi amici. Il nostro Baguazhang sarà uno dei grandi protagonisti in questo incontro con lo studio del Rushou durante i corsi settimanali.

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Dal 30 giugno al 4 luglio 2018, isola di Pellestrina, Venezia (Italy)

Per i Veneti e gli Italiani un appuntamento “in famiglia”: un incontro che esiste da più di trent’anni creato dal maestro Franco Mescola di Venezia ed a tutt’oggi un momento di incontro e di scambio/crescita personale molto interessante nel panorama italiano. Insegnanti esterni si alternano nell’insegnamento agli insegnanti de CRT nella pratica del Taijiquan e del Qigong. Il contesto naturale, l’isola di Pellestrina nella laguna veneta, e l’alloggio spartano lo rendono un’esperienza molto intima.

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Taiji Forum, settembre 2018 ad Hannover (DE)

Aleggia ancora un certo mistero intorno al terzo incontro europeo di Hannover del 2018 e sui suoi temi, che comunque avranno verranno comunicati da qui a breve. Anche quest’anno l’organizzatore, il maestro Nils Klug, ci ha aperto le porte per andare ad insegnare, ed abbiamo colto l’occasione per tornare ad Hannover. Il tema sarà sul lavoro a due e sull’ascolto, quindi un altro capitolo fondamentale per entrare nel vivo della pratica marziale sottile.

2018 BGZ date corsi

Ecco le date degli eventi del Corso Istruttori Baguazhang stile Sun Lutang scuola Ziran:


Secondo anno corso Unicorni:

– 10 febbraio 2018 (2.3)

– 10 marzo 2018 (2.4)

– 7 aprile 2018 (2.5)

– 5 maggio 2018 (2.6)

– 16 giugno 2018 (2.7)

L’ultimo incontro (2.8) si terrà nel mese di settembre/ottobre.

Terzo anno corso Leoni:

– 24 marzo 2018 (3.7)

– 12 maggio 2018 (3.8)

– settembre 2018: fine corso triennale, recap e approfondimento finale

– ottobre 2018: esame conclusivo e consegna attestati/diplomi + grande pranzo insieme

Tutti gli incontri si tengono di sabato mattino al parco di via Puccini a Caldogno (Vicenza)
Inizio previsto ore 9.00, termine ore 13.00
Per chi arriva prima, cappuccino e brioche in pasticceria alle ore 8.30.

Sono possibili incontri uno-a-uno extra curriculum per approfondire temi o rivedere argomenti specifici, basta mettersi d’accordo con l’insegnante.

Disponibilità ad organizzare seminari presso le scuole degli istruttori sui temi del corso, sul Baguazhang o su altri temi: Xingyiquan, Yiquan, Qigong, Medicina tradizionale cinese, Tuina, Meditazione.

Collezione di figurine

“Pensa che ironia, Gigio, scoprire dopo vent’anni di pratica che le cose importanti nelle arti marziali si imparano, ad esempio, già nei primi sei mesi di boxe o di un’altra pratica. E tu hai girato in tondo per vent’anni per niente o quasi… “, mi dice stamattina Sergio durante la nostra sessione di sparring in garage. Bum, colpito dentro e fuori. Con Sergio è normale non vederlo e sentirlo solo. Sembra un pensiero peregrino: si  praticano mille tecniche, mille forme e mille sistemi, ma l’efficacia e l’essenza marziale si nasconde nelle cose semplici. E questi vale anche e soprattutto nel Baguazhang e nel Neijia, se lo si vuole capire bisogna semplificare tutto, come in matematica.

Forse oggi l’efficacia in un contesto reale non è quello che viene ricercato: insegnare arti marziali comporta oggi troppi rischi, troppe responsabilità e richiede un impegno che appare smisurato ad un neofita-cliente: “Non finisci mai di imparare, se tiri dentro davvero scopri che la pratica è dura, e dura fino alla fine della tua vita, non arrivi mai a raggiungere un punto finale. Questo fa paura”. E bravo Sergio. Ho una grande stima della sua concretezza e delle sue abilità, che negli anni si sono affinate in un modo bilanciato. Sergio per me è un esempio di come si può crescere grazie alle arti di combattimento.

Penso sulla quantità sterminata di foto sul web, tutte in posizioni ad effetto in posti mozzafiato e con il costumino di seta bello, e mi rendo conto che ci siamo dentro tutti, in questo processo di camuffamento, di scambio del “quid pro quo”. L’arte marziale è diventata l’arte dell’immagine, quella delle figurine, e poco importa se dietro c’è poco o nulla. Tutti facciamo qualcosa che viene certificato, facciamo parte di qualcosa, ci sentiamo qualcuno, l’aspetto sociale e di facciata è diventato lo scopo della pratica. Quando ho iniziato quarant’anni fa non era così, era molto più concreto, più semplice da capire, e chi tirava dentro era bravo, gli altri ci provavano. Ancora oggi uso felpe e pantalonacci per praticare, mi sembra più onesto, ma quando bisogna fare scena, anch’io uso il costumino.

Leggo e confronto lo stile di marketing con alcuni vecchi libri vintage di boxe americana, Jack Dempsey che insegna come “combattere duro” da sottotenente delle guardia costiera USA nel 1942 con avversari in mutandoni, in piedi, a terra, dove serve, a volte simpaticamente ridicoli ma grintosi, e non dubito dell’efficacia. Una ventina di tecnica tra percussioni, strangolamenti, leve basiche, scarne e dirette, nello stesso periodo storico in cui Imi Lichtenfeld creava il Krav Maga in Israele. Grosso modo ci siamo, ritrovo lo stesso sapore aspro e fisico d’impatto, che secondo me era anche quello dei tempi di Sun Lutang.

Si racconta che Sun fu invitato da un amico nel Nordest della Cina per insegnare presso una associazione di arti marziali. Al di là delle lezioni tenute, la cronaca di quell’anno è scarna ma interessante: già anziano, fu sfidato da un boxeur occidentale, e Sun serenamente accettò,  ma all’ultimo si annullò l’incontro per timore di rappresaglie se Sun avesse vinto (come sembrava probabile); su richiesta della comunità locale Sun cacciò, inseguì e catturò un bandito che imperversava nelle zone da tempo, a mani nude e vivo, e lo consegnò alla milizia locale; e alla fine tornò a casa. Ordinaria amministrazione.

Sun non era l’unico, era proprio il periodo storico così, da Fu Chengsun a Wang Xinagzhai, che andavano da una scuola all’altra per imparare con umiltà o per sfidare i maestri e vedere chi la portava a casa. Questa era la vecchia scuola, la Vecchia Guardia, quella che Napoleone voleva sempre intorno a sè quando la situazione di faceva difficile. Mi torna in mente anche il famoso Chang Dung Shen, nato nel 1908, la celebre “farfalla che vola” della lotta cinese (Baoding Shuaijiao), che dal 1933 in poi vinse qualsiasi incontro, forte di metodo che di elegante non aveva davvero nulla, ma funzionava alla grande, proprio come le mani e la pancia del grande Wang Shujin o l’Aikido potente del guardiano dell’Hombu Dojo, Saito.

Collezionare figurine è bello, lo ammetto, ci immortala in una dimensione in cui per un attimo sembriamo essere qualcosa d’altro da ciò che siamo. E’ il bisogno di sfuggire alla realtà, di non essere qui ora, ma sognare di essere altro. No, non funziona così, è solo scappare dal momento, e lo Zen è essere qui ora. Mi piacerebbe che i ragazzi tornassero a mettersi in gioco e a tirare quattro pugni veri, e non solo sui sacconi o nei drill, ma scoprissero loro stessi e quello che loro vogliono. Ne abbiamo bisogno oggi più che mai.

4 animali del Bgz: braccia di aquila

In questo blog ho già scritto di altri due dei quattro animali patronimici del Baguazhang, rispettivamente della Tigre e del Drago. Per chi volesse basta cercare nel blog sotto la voce “animali”.

I Quattro Animali non sono solo teoria o immagini, ma esercizi specifici per sviluppare la muscolatura e la struttura tendinea di tutto il corpo, analogamente come gli esercizi dell’Yijinjing e del Neigong in genere. Li abbiamo rivisti di recente a Modena nel corso del terzo anno, e credo che siano rimasti ben impressi nella memoria.

La Tigre ha una grande potenza nelle gambe, che va sviluppata accuratamente se si vuole conoscere la potenza delle arti marziali nel loro aspetto dello sviluppo della potenza.

Il Drago ha la capacità di muovere la schiena e il torso in generale in un modo straordinario, rinforzando anche la micromuscolatura intercostale e intervertebrale, e dà una scioltezza notevole al tronco.

L’Aquila è il terzo animale, che protegge e stimola l’uso delle braccia, delle spalle, dei gomiti e delle mani. Le metafore riferite agli uccelli prende sempre in considerazione le due armi a disposizione: le ali e gli artigli. Le ali hanno una funzione di protezione e di confusione nella fase di avvicinamento, mentre gli artigli entrano in gioco nel momento del contatto. In entrambi i casi braccia e mani forti garantiscono un controllo dello spazio prossemico intorno a noi e una limitazione dei danni dovuti ad un attacco avversario improvviso.

Il Baguazhang si dice che abbia preso molto dall’Ying Zhao, dall’artiglio dell’aquila, specie per quanto riguarda l’uso delle mani, delle dita e delle braccia. Di sicuro gli Otto Palmi sono una struttura di base molto solida e collaudata, che ritroviamo anche nel Krav Maga e nell’Yiquan con qualche variante, e ci portano a considerare la parte superiore del corpo in modo diverso. Rispetto alla boxe, che comunque ci insegna moltissimo sull’uso dei pugni, un’uso intelligente dei palmi e delle braccia, usando la metafora dell’aquila e del falco, possono aiutare molto.

L’aquila è anche un’intenzione mentale precisa: affilata, potente, veloce, determinata, come un’aquila che ghermisce la preda senza lasciare scampo. Un atteggiamento flessibile e potente porta in genere al risultato desiderato. Un’ultima considerazione riguarda l’uso di forza integrale, che non è sempre necessaria: la cosa importante è che le braccia svolgano anche un’attività di jabbing, di controllo del terreno e della distanza, per preparare il colpo del ko.

Invito tutti a ricercare il significato dell’uso delle braccia dell’aquila ogni volta che si muovono in cerchio. L’attitudine in questo caso è davvero quasi tutto, perchè l’intenzione deve brillare in fondo alle mani, e le unghie sono le terminazioni dei tendini. Come diceva Wang Xiangzhai, gli animali sanno usare molto bene le loro zampe o artigli, solo l’uomo non se lo ricorda più così bene. Occorre tornare allo stadio animale, non solo per l’intenzione ma anche per il corpo. Allora qualsiasi movimento diventa pieno e intenzionale, non casuale, ed è ciò che stiamo cercando: naturalezza e spontaneità, come solo gli animali sanno fare così bene.

1° Meeting Italiano Ziran Baguazhang

Chi mi conosce sa come la penso su tante cose, specie nel mondo delle arti marziali. Ho una innata diffidenza per le scatole e una insana passione per i contenuti, e mi piace smontare i giochini. Quindi quando ho pensato a questo primo incontro, lo scopo era nell’ordine: fare in modo che tutti i miei istruttori e futuri istruttori potessero conoscersi reciprocamente e sapere che c’erano in giro per l’Italia persone come loro, cioè ancora sane; lavorare sulla trasmissione orale, che non verte sulla tecnica ma sull’ispirazione che nasce quando la pratica si libera della tecnica; infine condividere e creare uno spirito di gruppo, un sentirsi parte di una famiglia – anche se questa immagine è un po’ abusata, me ne rendo conto.

In sintesi, i due giorni sono trascorsi sull’onda della pratica e della scoperta. Ho voluto mescolare le armi dentro la pratica, anche a costo di qualche rischio, perchè venissero capite non come le solite “forme delle armi”, ma perchè fossero le armi del Baguazhang, cioè una estensione delle braccia e delle gambe che insieme insegnano ad corpo a muoversi meglio, e permettono al corpo di diventare più grande. Il bastone è l’arma più antica del mondo, e con un puntale di metallo diventa una lancia, e insegnano il movimento del corpo e la potenza. Le mezzelune, o corna di cervo, sono quanto di più tipico e concreto permetta di imparare il senso del movimento del Baguazhang e la finezza. Non abbiamo fatto abbastanza, ma prendere in mano le mezzelune e farle girare ci dice già molto della nostra pratica.
Abbiamo fatto un Dim Sum (menu ad assaggi tipico della cucina del sud della Cina) di Baguazhang: cambio singolo, cambio doppio, cambio a seguire, applicazioni, palmi, connessione, esercizi, meditazione, qigong, l’uso dei canali straordinari. E’ stato un momento per lavorare tutti insieme, ognuno con le sue individualità e le sue capacità, su un sistema non-sistema di gran lunga più stimolante e più vivo di tanti altri. Il Baguazhang ha la capacità di ricrearsi come l’araba Fenice, che risorge dalle ceneri, è basato sull’uso del corpo e sulla comprensione che esistono livelli dopo livelli, cieli sopra cieli, per chi non si ferma a guardare il dito. 
La cosa straordinaria è che la pratica del Baguazhang di Sun Lutang e la ricerca sulla teoria, sulla traduzione di quel testo criptico che tutti citano ma nessuno capisce, sta portando frutti inaspettati anche nella mia crescita personale e marziale. Nonno Sun, che dalla sua foto ci ha guardati per i due giorni, penso sia stato molto contento. La sensazione che ho riguardando le fotografie è di una grande soddisfazione, vedere tanti corpi in movimento circolare e soprattutto consapevoli, vitali, in piena crescita e alla ricerca di una qualità.
Ringrazio tutti per lo spirito con cui si sono messi in gioco. L’ambiente è stato sicuramente di grande aiuto, e la nostra cuoca Silvia e suo marito ci hanno fatto sentire a casa. I commenti che ho sentito parlano di una bella esperienza di gruppo, di ispirazione, di crescita, di cose belle. Tra poco ricominceranno gli incontri del secondo e del terzo anno, e c’è tanto tanto ancora da fare, ma la bellezza sta nel fatto che non c’è una fine, si va avanti sempre. I vostri attestati vi stanno aspettando, a breve ci rivedremo. Grazie alla mia ombra, il grande Sergio Fanton, senza il quale niente sarebbe lo stesso. Ma vale lo stesso discorso per ognuno di voi.

Da parte mia sento che vorrei essere in grado di passarvi tante e tali cose da riempirvi, ma che il tempo è breve e ci vuole passione e pazienza per unire tutte le parti e farle diventare una cosa unica. La mia missione è questa, trasmettere una conoscenza animata da una passione, una fiamma che non si deve spegnere, e che ognuno porta dentro nel modo in cui il suo cuore risuona. “Ama e fa ciò che vuoi”, dice un grande padre della chiesa, Sant’Agostino di Ippona. Praticare nella modalità del cuore non vi abbandonerà mai, ed è l’unico modo che io conosco per accendere altri animi. 

Grazie ancora e vivete una vita che vi rappresenti.

Matteo Gatti e il Taijiquan

Dal blog Fashiontimes, ripubblico

Taiji: l’arte che muove il corpo e scioglie i pensieri
Di Serena Maj – 8 gennaio 2017

Dialogo con Matteo Gatti, appassionato maestro di Taijiquan (o anche Tai chi chuan) a proposito di trasformazioni, movimenti, pensieri e vita.

Cosa succederà nei prossimi 12 mesi non lo sappiamo. Per certo fra 365 giorni saremo diversi da oggi, per certo alcuni cambiamenti li avremo cercati e voluti e altri li avremo un po’ subiti, chiedendoci se non ci fosse altra strada. C’è un modo per allenarsi alla trasformazione?

Quando ho visto per la prima volta fare Taiji in un parco della Chinatown di New York parecchi anni fa ho pensato che quel gruppo di persone che sembravano danzare al ritmo morbido al quale il sole si spostava davano l’impressione di mettere in scena, con i loro movimenti, il passare continuo di ogni cosa da uno stato all’altro, e che fossero capaci di guidare questo cambiamento pur lasciandolo semplicemente fluire. Era un’impressione superficiale ma bellissima, ci sono voluti anni ma alla fine una persona capace di dare un senso diverso a quella sensazione l’ho trovata, le ho fatto un po’ di domande e le risposte sono qui e sono il mio augurio per un 2017 pieno di novità da accogliere e portare nella nostra vita con gentilezza, mentre andiamo avanti a passo costante.

Come definiresti il taiji?
“Arte marziale, meditazione in movimento, metodo espressivo, educazione all’ascolto di sé, pratica autocurativa… Definire il taiji è un’impresa che mi è sempre sembrata impossibile: le sfaccettature della pratica e la molteplicità degli approcci degli insegnanti e dei praticanti sono innumerevoli. Se attingiamo dall’aspetto filosofico, il termine taiji è riferito al processo vitale della trasformazione: per questo è spesso associato ad una pratica di crescita evolutiva, che pone in relazione la natura umana con il contesto dell’esistenza. Inoltre, benché si tratti di un’arte relativamente giovane rispetto ad altre pratiche cinesi si tratta di una disciplina in continua evoluzione: basti pensare ai principali stili che si sono succeduti nella storia, dal chen, allo yang, al wu fino al piccolo wu, in un processo di approfondimento e distillazione non solo del gesto, ma anche della profonda teoria che ne sta alla base. Tenterei di rispondere “di sponda” alla domanda, raccontandoti del taiji che pratico io e che conosco di più, chiarendo prima di tutto la distinzione tra taiji “moderno” (o sportivo) e “tradizionale”. Questa distinzione non ha tanto a che vedere con la cronologia, quanto con la modalità di trasmissione: il taiji tradizionale è fondato sul “lignaggio”, ossia sull’insegnamento di principi fondamentali di generazione in generazione (pur nella relativa evoluzione delle tecniche); gli approcci più moderni spesso smarriscono questa radice concentrandosi maggiormente sull’aspetto esteriore, sulla forma, molte volte privata della “sostanza”. Con il tempo ho imparato inoltre che nel corretto apprendimento è essenziale la comprensione filosofica dei principi, con la difficoltà aggiuntiva che il taiji richiede un’assimilazione che non si fermi alla mente, ma che anzi parta da una comprensione con il corpo. Solo così si può creare un dinamico dialogo, una risonanza nello spazio tra corpo-gesto e mente; la pratica del taiji dovrebbe infatti svolgersi principalmente in prossimità di questa soglia, di questo campo energetico tra polarità”.

Ci sono quindi diverse modalità di praticare il taiji. Quale stile pratichi?
“Il mio maestro, Wang Zhi Xiang, pratica lo stile Yang e lo stile Wu, ma basa il suo insegnamento soprattutto sul “taiji dell’acqua” fondato da Wang Zhuang Hong attingendo alle fonti dei “Classici del taiji”. L’intelaiatura di questo stile è basata sullo stile Yang, ma incorpora un movimento più tridimensionale composto da spirali. Il cuore della pratica sta nello sfruttare in maniera consapevole “la forza di attrazione che proviene dal centro della Terra (cioè la gravità)”. I movimenti energetici si ispirano alla natura profonda dell’acqua, cioè alla sua capacità ricettiva e dinamica allo stesso tempo”.

Un po’ di storia. Come è nato e come è arrivato in Europa.
“Il problema della storia delle arti marziali cinesi in generale è la scarsità delle fonti scritte, ne consegue la difficoltà della datazione; anche il taiji non sfugge a questo fatto e spesso si ricorre a delle figure semi-leggendarie per datarne l’origine…Lo stile più diffuso, lo Yang, è comunque piuttosto “giovane” e ha circa duecento anni, visto che i primi documenti scritti sono datati XIX secolo. Si diffonde in Occidente a partire dagli USA a causa della forte presenza delle comunità cinesi negli anni ‘60, arriva in Europa a fine anni ‘70, prima ad opera di insegnanti di Hong Kong o di Taiwan e solo successivamente della Repubblica Popolare Cinese…in Italia arriverà solo negli ’80 inizialmente con le forme più sportive. L’insegnamento del tradizionale comincerà in modo più esteso negli anni ’90: anche se tuttora resta in Italia la forma di taiji meno diffusa, sta lentamente aumentando la sua base di praticanti”.

Come hai scoperto il taiji? Perché ti ha affascinato?
“Sono stato da sempre attratto dalle discipline orientali, ho cominciato da adolescente con le arti marziali giapponesi. Con il tempo la curiosità (e l’entusiasmo!) giovanili si sono trasformati in una ricerca sempre più profonda e coinvolgente…quando ho incontrato il taiji praticavo diverse discipline a contatto e agonistiche, quindi il primo impatto alla lezione di prova è stato un po’ tiepido…un’arte dai movimenti lenti che mi sembravano molto lontani dalla realtà del combattimento…un compagno di pratica di cui ho stima mi ha incoraggiato a non desistere, e così ho iniziato a frequentare la palestra più assiduamente. L’inizio è stato duro, rallentare il movimento rimette in discussione tutte le catene cinetiche, gli schematismi che il corpo ha assimilato e memorizzato…una riprogrammazione che può essere anche ardua e dolorosa, visto che tutti tendiamo inconsciamente a creare negli anni strutture su cui ci “puntelliamo”. Insomma, all’apice della mia forma fisica mi trovavo a non riuscire a reggere a lungo una posizione, a sciogliere un gesto, a rendere tranquilla l’attenzione… Ho capito con il senno di poi la ragione dell’apparente lentezza del movimento: per educare ad una trasformazione sottile. Se la pratica dei principi è lenta è più assimilabile, se è graduale diventa alchemica e può, sotto l’occhio di un maestro attento e paziente, operare una profonda trasformazione nel praticante. Praticando in lentezza la percezione può ampliarsi, quasi scollarsi dall’urgenza del fare, e diventare più sottile e penetrante. Insomma il taiji è più un’arte della mente (è singolare che il termine cinese xin indichi allo stesso tempo la “mente”, i processi psichici, e il “cuore”, i processi emotivi). La sfida (e il grosso del lavoro) è non solo quella di armonizzare l’incessante dialogo mente-corpo in una costante eco trasformativa, ma anche di integrare le differenti qualità mentali in gioco (volontà, immaginazione, sensazione), in modo da “pulire” il gesto e “lasciare che accada” senza interferenze. Si potrebbe dire che ogni gesto nasca dal vuoto e al vuoto torni, come incessanti onde sulla superficie del mare; sullo sfondo la mente tranquilla osserva, smette egoisticamente di controllare”.

Agli occhi di noi profani, il taiji sembra una coreografia, sembra disegnare una sequenza, quasi un linguaggio. L’impressione è giusta? Ogni gesto ha un senso? Esistono sequenze?
“Il bagaglio tecnico del taiji è davvero ampio; generalmente l’immaginario comune associa il taiji all’esecuzione delle forme, ossia a delle sequenze più o meno lunghe di movimenti prestabiliti, insomma alla pratica “codificata” a solo. In realtà la forma è la punta dell’iceberg: vista la sua complessità, i gesti vanno prima “puliti” e focalizzati con le sequenze degli esercizi fondamentali, resi profondi e sensibili con la pratica a coppie (tui shou), fluidi e concatenati con la pratica del combattimento libero (san shou), energetici e sottili con lo studio dei movimenti “interni” (nei gong, qi gong e meditazione). Come analogia per la pratica mi viene in mente quella della musica: il primo step è quello di accordare lo strumento (la mente-corpo), successivamente impratichirsi negli accordi, poi cercare di eseguire brani composti da altri autori, provare temi a quattro mani; solo alla fine di questi passaggi si può creare una propria composizione “libera”…Va inoltre notato che dall’esterno la forma può mostrare sensibili differenze da praticante a praticante, visto che il focus è soprattutto sulla sensibilità interna del corpo al movimento-cambiamento che non alla riproduzione di “figure-forme” che tendono a una coreografia. Altre arti marziali ad esempio prediligono questa seconda tipologia di pratica con la conseguenza di ottenere delle “intelaiature” praticamente immutabili a scapito della adattabilità e della fluidità del movimento. In questa differenza sta la chiave della comprensione profonda del gesto: tanto più se ne assorbe il “significato” (che spazia da quello energetico a quello marziale-applicativo), tanto più la pratica sarà svincolata dagli assilli della forma; ma anche qui si parla di un processo molto lento e sottile… Ti dicevo di come il taiji tradizionale sposti il focus dallo studio della forma fine a se stessa allo studio dei principi che regolano il movimento; la pratica dei principi come “navigatore” ed elemento di sintesi permette infatti di orientarsi in un percorso che altrimenti diventerebbe sterile e superficiale: la difficoltà sta insomma nel passare dalla consueta mentalità “accumulativa” (più forme, più ripetizioni, ecc.) ad una più sottile basata sulla qualità del gesto e sulla sua percezione profonda”.

Dove si pratica? Come si impara?
“Mi piace scherzare con i miei studenti dicendo che per praticare è necessario lo spazio di una mattonella… Dopo un certo apprendistato il taiji può essere veramente praticato ovunque e in qualsiasi intervallo di tempo. La figura del maestro in questo processo di maturazione è fondamentale, anche se un buon insegnante sa che la sua funzione dovrebbe essere quella di “attivare” la capacità insita in ognuno di noi – ma quasi sempre sopita – di essere nell’esperienza, di renderla viva, e di lasciare che ci trasformi profondamente. Insomma il pilastro della pratica dovrebbe restare la disponibilità a praticare anche da soli con seria giocosità, come succede in ogni gioco “da bambini”: equivale a dire con engagement totale ma tranquillo, senza tensioni…capita quasi sempre che anche le volte che ci si accinge alla pratica senza questo stato d’animo siano sufficienti pochi minuti per riattivarlo. Questo secondo me è il dono più grande che può fare il taiji a un sincero praticante: rieducare all’ascolto profondo del corpo, vivificare ogni gesto rendendolo consapevole ma non controllato, tendere insomma a quello stato che in Cina si definisce semplicemente zi ran, “naturale”, ossia lo stato del wu wei (non agire volontariamente, non controllare). Ovviamente come in tutte le attività artistiche è necessario un lavoro di distillazione per prove ed errori, in cui la pazienza – l’attesa libera dalle aspettative – diventa un cardine. Questa disponibilità spesso va rieducata visto che agiamo in una cultura basata su logiche economiche e del tutto e subito”.

A chi lo consiglieresti?
“Il taiji sta ultimamente avendo un boom in Occidente (Italia compresa) come ginnastica “dolce” adatta ad ogni età, che indubbiamente è uno degli aspetti della disciplina… È consigliato sempre più diffusamente anche dalla medicina occidentale visti i suoi indubbi benefici e la quasi totale assenza di controindicazioni. Basti però ricordare che nei tornei a contatto pieno in Cina i praticanti di taiji tradizionale sono molto temuti… L’estrema ricchezza di una “forma non ingabbiata in forme” ha secondo me infiniti campi di applicazione…Ho avuto il piacere di praticare con persone provenienti dalle più disparate esperienze: dallo sport, ad altre arti marziali, alla danza, allo yoga, alla musica, all’arrampicata… così come con persone senza nessun background. Insomma lo consiglierei ad ogni persona curiosa, dalla mentalità sufficientemente aperta e desiderosa di mettere in discussione le proprie abitudini”.

Matteo Gatti

(per informazioni mailto: miaomat@gmail.com)

Corso istruttori Baguazhang 2017

Il mese di febbraio 2017 prevedeva 2 incontri a distanza ravvicinata, il 4 e il 25 febbraio, rispettivamente come fine del primo anno e inizio del secondo. Il mio ottimismo non aveva previsto diversi intoppi, tra i quali che avremmo ritardato l’incontro di gennaio e che il 25 febbraio sarei stato a Roma per un incontro nazionale Fiwuk. Inoltre le assenze di diversi istruttori hanno un attimo sfilacciato il gruppo, che richiede un ricompattamento del materiale di studio e quindi (almeno) una lezione di recupero.

Quindi ricapitolo le date dei prossimi incontri:
Corso Istruttori Baguazhang – Primo Anno
sabato 4 Febbraio 2017: ottavo incontro
sabato 18 marzo 2017: nono incontro (recupero)
Corso Istruttori Baguazhang – Secondo Anno
sabato 15 aprile 2017: primo incontro
sabato 20 maggio 2017: secondo incontro
sabato 3 giugno 2017: terzo incontro
Successivi incontri verranno fissati a breve.
Tutte le lezioni si tengono (salvo intemperie meteo importanti) nel parco di via Puccini a Caldogno, dalle 9 alle 13. A seguire si mangia qualcosa insieme e poi si va.
Lezioni private presso gli istruttori: per esperienza so che non è sempre facile immagazzinare quanto si vede e si pratica in quattro ore. Per questo motivo, e anche per facilitare un apprendimento personalizzato per l’istruttore, vi ricordo che sono disponibile per venire a trovarvi in sede da voi (un parco, una palestra, a casa vostra) per lavorare con voi di persona su una base one-to-one e risolvere dubbi, incertezze, precisazioni, etc. Ho visto che è sempre molto stimolante e aiuta a capire meglio i dettagli. Fatemi sapere se avete tempo e voglia per dedicare una mezza giornata o una giornata intera a voi stessi. Nel caso posso anche tenere una mezza giornata di approfondimento con voi e una mezza giornata di seminario per i vostri allievi o con persone interessate.
Baishi: nel corso del secondo anno in genere propongo ad alcune persone il Baishi, una cerimonia semplice ma significativa, che segna un passaggio di qualità nel lavoro e che apre a degli insegnamenti specifici, quello cosiddetto a porte chiuse. Non siamo nell’antica Cina, che sia chiaro, e non si giura eterna fedeltà a nessuno. Si prende un impegno con se stessi che rende la pratica ancora più profonda. Si può tranquillamente proseguire il corso senza fare questa cerimonia, specie se non ci si sente in una condizione d’animo adatta e si sta seguendo – ad esempio – un’altro maestro. Baishi stabilisce una relazione individuale privilegiata tra maestro e allievo, che a tutti gli effetti diventa un Tudi, un discepolo. Ma non è una cosa obbligatoria, va sentita. Se volete chiedermi, sono a disposizione.
Secondo anno: che si fa nel secondo anno? Si lavora sugli Otto Animali, cambi completi e non più palmi solo, e le applicazioni principali di ogni animale, per un totale di 64 palmi. A seguire l’utilizzo dei palmi e dei calci da combattimento, palmi che bucano e palmi che ruotano, e per finire Bagua Tuishou, che riassume tutte le caratteristiche finora viste nel primo e secondo anno. La fase di questo secondo anno non è più la struttura quadrata e delineata del primo anno, ma la fase di Lianhuanzhang, la struttura rotonda e continua. Anche se suona semplice, richiede una trasformazione personale non indifferente. Ma ne vale la pena 🙂
A sabato!

Il lavoro al palo

Ho avuto molti insegnanti di Baguazhang, e ogni scuola, ogni discendenza, ogni singolo insegnante aveva le sue regole e i suoi metodi, più o meno evidenti, più o meno efficaci, più o meno… . A volte erano metodi che si integravano tra di loro (di rado), perchè provenivano dalla stessa matrice, altre volte erano invece metodi completamente diversi, divergenti, a volte presi da altri sistemi e incastrati a forza nel Baguazhang. Capita ancora oggi, più spesso di quanto non si creda.

Per la maggior parte dei casi, il Baguazhang è rimasta un’arte fatta di piroette, dove il lavoro a due è al massimo una coreografia da spettacolo. Come scriveva Jane Hallander, storica giornalista delle arti marziali cinesi negli USA, la prima parte del Baguazhang, come nel Taijiquan, era morbida e flessuosa, ma la seconda parte invece era concreta e pragmatica, dove il lavoro a due era molto importante per capire la reale applicazione.

Molti insegnanti non hanno mai conosciuto la seconda parte, ma diventavano comunque insegnanti di Baguazhang – scriveva ancora la Hallander – e hanno diffuso quel che conoscevano. Il lavoro sul manichino nel Baguazhang è uno dei temi più oscuri dell’allenamento di quest’arte, perchè si colloca nella seconda parte del metodo, nel cielo posteriore. Il maestro Adam Hsu ha descritto nei suoi libri la sua incredulità di fronte al fatto di vedere persino in Cina stessa discendenze di Baguazhang senza allenamento con i pali, dove al massimo si schivano i pali e si corre come matti. La filmografia cinese (“L’onore di Dongfangxu”, ad esempio) non ha certo aiutato.

Baguazhang è uno stile solido, concreto, stabile e veloce, che ha la grande capacità di essere circolare e flessibile dove occorre, quindi in sintesi capace di usare il cerchio nella linea e la linea nel cerchio. Pensare che Baguazhang sia solo andare in cerchio seguendo una forma è piuttosto limitante. Oltretutto, se non c’è struttura nel corpo, andare in cerchio risulta inutile. Quindi il palo – anche un solo lampioncino – può diventare un grandissimo partner, se lo spirito e le indicazioni sono quelle giuste.

Voglio ringraziare Hana Pitrunova per il suo spirito battagliero e la sua fiducia. Il lavoro col palo serve a capire tutto quello che il cerchio grande non può spiegare. Il palo insegna una logica diversa e perfettamente complementare a Zuo Zhang. Buoni passi Hana!