Non paura



Uno dei più grandi regali che possiamo offrire agli altri è di diventare la dimostrazione di non attaccamento e di non paura. 
Questo è un insegnamento vero, più prezioso di qualsiasi denaro o risorsa materiale. 
Molti di noi sono molto impauriti e questa paura distorce le nostre vite e ci rende infelici. 
Ci attacchiamo agli oggetti e alle persone come una persona che sta affogando si attacca si aggrappa ad un tronco che galleggia. 
Praticando la realizzazione della non discriminazione, vedendo l’interconnessione di tutte le cose e la loro impermanenza, e condividendo questa saggezza con gli altri, facciamo il regalo della non paura. 
Ogni cosa è impermanente. 
Questo momento passa. 
Le persone se ne vanno. 
Ma la felicità è ancora possibile.

– Thich Nhat Hanh, “Come amare” 
Buon Natale!
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L’importanza del fare

“Tutto inizia con il Fare (You Wei), e uno fa già fatica a vedere qualcosa, 
Quando però si arriva al Non Fare (Wu Wei), tutti cominciano a capire.
Ma se tu vedi solo il Non Fare (Wu Wei) come l’essenziale meraviglia,
Come fai a sapere che il Fare (You Wei) è il fondamento?”
(Zhang Boduan, Wu Zhen Pian, 1075 d.C.)
Lo scorso fine settimana ho visitato due scuole di arti marziali, il Cerchio Infinito di Milano (con la rappresentanza anche di una scuola di Oderzo, Treviso) e Tui Il Lago di Modena per due seminari legati al corso istruttori di Baguazhang. Non sembra, ma cercare di trasmettere un’arte marziale è davvero una delle sfide più grandi che una persona possa scegliersi. Le giornate sono state lunghe, intense, gli argomento toccati tantissimi, ed ognuno avrebbe meritato un approfondimento, ma il tempo è tiranno, e da un certo punto di vista è anche corretto pensare che un insegnante, se ha dei buoni allievi, deve fare come il giardiniere: piantare i semi, innaffiare e aspettare che il tempo e le piante facciano il loro lavoro.
Si ha un bel parlare del taoismo e del Wu Wei: tutti si aspettano che non facendo, tutto arrivi. E’ un altro dei mille miti da sfatare. Ma anche fare tanto tanto tanto, a testa bassa, non basta, è davvero sterile. Se vogliamo capire come fare a Non Fare, occorre Fare, tanto e bene, e poi sapersi fermare. Lo scopo è di fare sempre meglio, al punto in cui possiamo cominciare a togliere, togliere, togliere, e lasciare solo ciò che serve. A questo serve fermarsi. Nel Rushou le braccia e la testa hanno sempre una tendenza ad usare la forza e una certa rigidità muscolare, perchè non ci prendiamo mai il tempo per allenare la morbidezza, l’ascolto, la cedevolezza, la continuità, la flessibilità della frusta. Forza si, ma con intelligenza.
Stamattina in aereo leggevo un bellissimo libro sulla vita di T.T. Liang, famoso maestro di Taiji stile Yang e forse uno dei pochi grandi vecchi che ha lasciato una eredità importante, che veniva da Cheng Manching ma anche da altri nove maestri (e stili) di Gongfu, e dopo essersi allenato anche qualche volta con Yang Chenfu, giusto per dire. Il tema principale dell’insegnamento di T.T. Liang era: “rubate la mia arte”. Geniale, pensate quanto siamo lontani da chi ha paura di perdere anche la propria ombra. Se qualcuno ruba qualcosa, vuol dire che per lui ha valore e ci tiene, rischia persino una punizione per il fatto di rubarla: forse è la persona giusta a cui trasmetterla, no?
Fare, fare, fare. Poi bisogna riposare, e contemplare. Ma è importante lasciare che la coltivazione germogli, lavorare sulle cose e attendere pazientemente che le cose crescano. Loriano Belluomini, la persona che più di chiunque altro in Italia ha scritto pubblicamente, apertamente e con competenza di Neijia, specialmente di Baguazhang e Xingyiquan, ha una bellissima connessione con la terra e con la natura. Il suo modo di lavorare, ascoltare e praticare segue i ritmi delle stagioni, i periodi delle olive o dei viaggi, i momenti di meditazione, lo stato d’animo, il sentirsi dentro. Quello che ha dentro lo dice.
L’alternanza di Fare e Non Fare è il segreto dell’Aurea Mediocritas di Orazio: gli estremi sono estremi, non sono la strada maestra, portano sempre ad uno squilibrio. Trattenere e nascondere sono segni di paura, che fanno morire l’arte. Regalare e buttare via sono ugualmente segni di squilibrio, di incapacità di dare valore. I ragazzi che ho trovato a Milano e a Modena sono persone belle, ricche, dove una parola o un principio attecchiscono, hanno spazio, aprono a riflessioni, muovono energie. L’importanza del fare è esattamente in reciproca sintonia con l’importanza del non fare, del lasciar decantare, come un buon vino fatto respirare un’ora prima di berlo. 
Questo è il mio grazie alle persone che vogliono crescere, e con i quali è sempre un piacere condividere un minuto, un’ora, degli anni, una pratica, dei consigli, una fiducia. La vita è fatta di momenti e la qualità di quei momenti è importante. Fermiamoci ogni tanto a contemplare un lavoro ben fatto, e apprezziamolo. Quello è Wu Wei. Sentiamo dentro il valore di quel momento. Non tornerà, e prima o poi non avremo più il modo di farlo. Cogliamo l’attimo. Fare e non fare sono la capacità di stare con il momento. E’ meditazione. E’ vita.

Crescere

C’è una certa differenza tra seguire e guidare. Anni fa con l’amico e maestro Gianfranco Russo abbiamo portato avanti il progetto “Atleta Coach Leader”, per rendere consapevoli gli insegnanti della sua scuola dell’importanza dei tre diversi ruoli, che richiedono competenze e abilità del tutto diverse tra loro, ma anche molto interconnesse.

Apprendere, imparare, conoscere sono fasi della vita necessarie per acquisire competenze ed abilità. In queste fasi occorre accettare gli insegnamenti come ci vengono impartiti e allenare le abilità fino a perfezionamento. E’ la fase analitica, in cui dal dettaglio si cerca di conoscere il generale. Seguire in questa fase è corretto.

Poi segue la fase dell’agire, del decidere, del guidare. La decisione non è più nelle mani dell’altra persona ma diventa la tua scelta, la tua visione. La motivazione non è più nell’immaginare cosa sappia l’altro, ma nel sapere che quello che sai non basta e devi svilupparlo, andare avanti. Non c’è più il gancio del fascino e del mistero, ma la responsabilità del volere andare avanti. Seguire in questa fase non è possibile, le persone guardano te e tu devi saper scegliere cosa è meglio per te e per loro.

Si impara metà da studenti e metà da insegnanti. Non c’è un meglio o un peggio, sono due fasi complementari, che ritornano nel tempo, perchè in realtà i migliori insegnanti sono quelli che restano studenti per tutta la vita, e nel loro profondo sanno gestire il sapore dolceamaro dell’incerta sicurezza o della sicura incertezza, andando in crisi il giusto e sapendo apprezzare quello che hanno raggiunto, ma senza arroganza.

Io studio ogni giorno, e insegno Baguazhang e Qigong solo a persone che vogliono mettersi in gioco in prima persona, che sanno insegnare ed essere guide autorevoli, ma che sanno anche mettersi in ultima fila, come il primo giorno, a ripetere i basics con uno spirito leggero e determinato. La vita è un esame continuo, ogni giorno arriva una nuova prova, e le arti marziali sono un vero riassunto di Eros e Thanatos, gli spiriti della Vita, che possono dare un sapore speciale all’esistenza.

Andare in palestra due ore a settimana è cosa lodevole. Se si vuole imparare a suonare uno strumento, a parlare una lingua, a costruire una casa, a cucinare, occorre qualcosa di più, non solo di tempo, ma anche di atteggiamento mentale. La prima regola è: essere onesti con se stessi e con la pratica. Allora anche se ci si allena da soli, con onestà e spirito critico, prima o poi si arriva da qualche parte.

E’ bellissimo vedere le persone che crescono. A differenza di tanti colleghi, sono felice di vedere persone che sentono il bisogno di prendere il più possibile, di capire, di andare avanti, e da parte mia non faccio segreto di nulla, perchè so che il processo è lungo e in salita. Se si portano via qualcosa dalla mia esperienza, sono solo felice, in realtà non sono di certo più povero io, anzi. In una logica di flusso e di costante trasformazione siamo costantemente in un rapporto di vasi comunicanti. Ma questo è un ragionamento lungo.

Stamattina ero al parco con Sergio Fanton, e ancora una volta mi sono sorpreso di quanta strada abbia fatto e stiamo facendo insieme, quante porte si aprono, quanti capitoli nuovi da aggiungere al libro della nostra pratica. A differenza di tante pratiche, qua si cresce ogni giorno, si aprono scenari in  continuazione. In questi momenti, quando si lascia il parco con l’emozione e il piacere di aver scoperto, capito, visto ancora qualcosa di nuovo, capisci che non ci sono limiti alla crescita.

(Nella foto l’istruttore e maestro Yuri Debbi in Baguazhang Lujiaodao)

1° Meeting Italiano Ziran Baguazhang

Chi mi conosce sa come la penso su tante cose, specie nel mondo delle arti marziali. Ho una innata diffidenza per le scatole e una insana passione per i contenuti, e mi piace smontare i giochini. Quindi quando ho pensato a questo primo incontro, lo scopo era nell’ordine: fare in modo che tutti i miei istruttori e futuri istruttori potessero conoscersi reciprocamente e sapere che c’erano in giro per l’Italia persone come loro, cioè ancora sane; lavorare sulla trasmissione orale, che non verte sulla tecnica ma sull’ispirazione che nasce quando la pratica si libera della tecnica; infine condividere e creare uno spirito di gruppo, un sentirsi parte di una famiglia – anche se questa immagine è un po’ abusata, me ne rendo conto.

In sintesi, i due giorni sono trascorsi sull’onda della pratica e della scoperta. Ho voluto mescolare le armi dentro la pratica, anche a costo di qualche rischio, perchè venissero capite non come le solite “forme delle armi”, ma perchè fossero le armi del Baguazhang, cioè una estensione delle braccia e delle gambe che insieme insegnano ad corpo a muoversi meglio, e permettono al corpo di diventare più grande. Il bastone è l’arma più antica del mondo, e con un puntale di metallo diventa una lancia, e insegnano il movimento del corpo e la potenza. Le mezzelune, o corna di cervo, sono quanto di più tipico e concreto permetta di imparare il senso del movimento del Baguazhang e la finezza. Non abbiamo fatto abbastanza, ma prendere in mano le mezzelune e farle girare ci dice già molto della nostra pratica.
Abbiamo fatto un Dim Sum (menu ad assaggi tipico della cucina del sud della Cina) di Baguazhang: cambio singolo, cambio doppio, cambio a seguire, applicazioni, palmi, connessione, esercizi, meditazione, qigong, l’uso dei canali straordinari. E’ stato un momento per lavorare tutti insieme, ognuno con le sue individualità e le sue capacità, su un sistema non-sistema di gran lunga più stimolante e più vivo di tanti altri. Il Baguazhang ha la capacità di ricrearsi come l’araba Fenice, che risorge dalle ceneri, è basato sull’uso del corpo e sulla comprensione che esistono livelli dopo livelli, cieli sopra cieli, per chi non si ferma a guardare il dito. 
La cosa straordinaria è che la pratica del Baguazhang di Sun Lutang e la ricerca sulla teoria, sulla traduzione di quel testo criptico che tutti citano ma nessuno capisce, sta portando frutti inaspettati anche nella mia crescita personale e marziale. Nonno Sun, che dalla sua foto ci ha guardati per i due giorni, penso sia stato molto contento. La sensazione che ho riguardando le fotografie è di una grande soddisfazione, vedere tanti corpi in movimento circolare e soprattutto consapevoli, vitali, in piena crescita e alla ricerca di una qualità.
Ringrazio tutti per lo spirito con cui si sono messi in gioco. L’ambiente è stato sicuramente di grande aiuto, e la nostra cuoca Silvia e suo marito ci hanno fatto sentire a casa. I commenti che ho sentito parlano di una bella esperienza di gruppo, di ispirazione, di crescita, di cose belle. Tra poco ricominceranno gli incontri del secondo e del terzo anno, e c’è tanto tanto ancora da fare, ma la bellezza sta nel fatto che non c’è una fine, si va avanti sempre. I vostri attestati vi stanno aspettando, a breve ci rivedremo. Grazie alla mia ombra, il grande Sergio Fanton, senza il quale niente sarebbe lo stesso. Ma vale lo stesso discorso per ognuno di voi.

Da parte mia sento che vorrei essere in grado di passarvi tante e tali cose da riempirvi, ma che il tempo è breve e ci vuole passione e pazienza per unire tutte le parti e farle diventare una cosa unica. La mia missione è questa, trasmettere una conoscenza animata da una passione, una fiamma che non si deve spegnere, e che ognuno porta dentro nel modo in cui il suo cuore risuona. “Ama e fa ciò che vuoi”, dice un grande padre della chiesa, Sant’Agostino di Ippona. Praticare nella modalità del cuore non vi abbandonerà mai, ed è l’unico modo che io conosco per accendere altri animi. 

Grazie ancora e vivete una vita che vi rappresenti.

In punta di piedi

Se c’è una attitudine che ho sempre apprezzato nei miei insegnanti (quelli storici, con cui ho stretto un legame importante), era l’eleganza, l’umiltà e la leggerezza. Jou Tsung Hwa, Stefano Bellomi, Wang Qiang sono solo alcuni, ma erano tutte persone così, trasparenti, dirette, direi naturalmente eleganti. Non tutti possedevano tutte le qualità insieme, ma nel fondo ognuno aveva una visione e una serie di valori condivisibile e condivisa. C’era determinazione e coraggio, ma anche rispetto per gli altri, spazio per la crescita e un desiderio – non sempre chiaramente espresso – di vederti comunque volare con le tue ali, sviluppare le tue potenzialità.

Stefano Bellomi, la persona con cui sono cresciuto dai 15 ai 26 anni, sia dentro che fuori la palestra, aveva una straordinaria intelligenza istintiva, capiva cose che io razionalmente capivo solo dopo anni. La sua guida è stata una specie di proiezione, di lancio, la cui spinta propulsiva dura ancora oggi in me e nella mia motivazione. Una parte di lui vive ancora in tutto quello che faccio. Stefano come me non amava la “sportivizzazione” delle arti marziali, e nonostante i poderosi scambi di calci e pugni che ci scambiavamo quotidianamente (come credo tutti più o meno facessimo negli anni ’70 e ’80 dello scorso secolo), avevamo un codice di rispetto anche nei confronti dei nuovi e dei vecchi della scuola. C’era un rispetto intrinseco delle cose, delle persone, dei miti, che venivano rispettati e presi a modello. Certe sensazioni sono rimaste dentro per sempre, le porto con me.

“Gli insegnanti servono a semplificare il percorso agli allievi”, diceva uno dei miei insegnanti, servono a indicarti le buche o i rovi da evitare e le deviazioni da non prendere, dove avresti perso tempo. Non sempre si poteva evitare, ma almeno i ragazzi erano avvisati, e mantenevano per gli insegnanti un senso di gratitudine. Stefano aveva un sistema “giroscopico” interno di buon senso: nonostante tutto non lo perdeva mai, anche quando aveva molte palestre e contemporaneamente studiava e massaggiava e ne faceva mille insieme. Quando vide i primi combattimenti di Sanda, scosse la testa, perchè capiva che stavamo andando in una nuova direzione, che era già lontana da quella tradizionale, dei suoi insegnanti, della sua storia personale. Ma tant’è, la storia ci insegna che non possiamo fermare il mondo, al massimo possiamo decidere se salirci in groppa o lasciarlo andare.

Oggi sento tanto la mancanza di Stefano e della sua eleganza. Wang Qiang aveva una visione ampia, perché aveva praticato Baguazhang e stili esterni, prima di cominciare Dachenquan con Wang Xuanjie, e nella sua posizione di ricercatore dell’università aveva buoni contatti. Anche  lui era elegante: una mattina, scendendo per l’allenamento, guardando il mio abito mi chiese: l’ha fatto tua madre? Risposi di sì, era vero, e lui tutto contento: come in Cina!!! Lui in cambio vestiva in camicia, pantaloni con la riga e mocassini, pura foggia occidentale, in un mutuo scambio di posizioni di rispetto nelle rispettive culture.

Master Jou era una persona decisamente vitale e felice, quando era in compagnia, e aveva  il dono di far sorridere sempre. Per lui l’arte marziale era stata una benedizione di tarda età e l’aveva proiettato in nuove dimensioni della conoscenza e della sua astrazione matematica. Non conosceva stanchezza e non poneva limiti. Aveva solo le idee molto chiare e ribadiva la sua visione, con ottimi argomenti. Sempre in punta di penna, sempre con l’evidenza delle prove.

Mi mancano, i tempi dell’eleganza. Mi piace l’idea – sempre e comunque – di passare in punta di piedi, e in un mondo che urla le sue idee strampalate, stimo chi comunque mantiene la sua eleganza e lo fa, per suo conto, coscienziosamente, liberamente, e prosegue il suo cammino senza fare rumore. Chi regala felicità e sa dare la sua amicizia in genere possiede questa attitudine. Se mai dovessi insegnare queste ultime lezioni di Baguazhang, una sicuramente sarebbe dedicata a come vivere il Baguazhang con profondità, con intensità e, certo, con eleganza.

Le tre Tigri del Baguazhang


“Per pregare 
ai piedi del Buddha 
bisogna superare 
i Guardiani della Porta”

Andando incontro al desiderio del nostro fratello Yuri, ormai prossimo alla conclusione del terzo anno di studio di Baguazhang, a fine stage abbiamo scattato questa foto anni ’70, modello “I tre dell’Operazione Drago”. Sì, noi piccole tigri ci divertiamo un sacco praticando, e siamo liberi nel lavoro che facciamo, perchè il nostro fine non è di replicare soltanto i movimenti della tradizione, di altri maestri, cosa che facciamo con grande rispetto e al meglio della nostra conoscenza, sempre in evoluzione. Abbiamo il desiderio di rendere questi insegnamenti e questa pratica vivi e forti, e di sentire dentro di noi che la pratica ci insegna ad essere efficaci e pratici. L’arte – qualsiasi arte – non è pedissequa ripetizione, è costante evoluzione, piaccia o non piaccia.

Vorrei ringraziare tutte le persone che negli anni mi hanno spronato a fare sempre meglio, quelle secondo le quali “questo non è Baguazhang”, come gli scienziati che non sopportano l’idea che un calabrone possa volare perchè ha le ali troppo piccole. Perchè mi fanno sentire ancora più vivo e vero, e soprattutto in ottima compagnia. Dopo trent’anni di esperienza in Europa e America, tra i maestri e le scuole che hanno dimostrato la loro efficacia in combattimento, anche da strada, almeno due (a cui sono molto vicino) sono state accusate della stessa cosa: non fanno Taiji vero, non è una vera arte, non hanno discendenza, etc. Mi sento davvero bene!

Lascio al piacere di chi pratica l’augurio di sapersi guardare attorno, di restare aperti mentalmente e di rendere viva la loro pratica, per non cadere nelle trappole del blabla chattifero mortale dei “guerrieri su carrozzina a rotelle”, come Dan Docherty definì giustamente anni fa chi scrive nei forum ma non sa mettere insieme due movimenti.

Il segreto? Non ci sono segreti (Kungfu Panda?). Praticare, praticare, praticare. Prendi le scarpe e scendi in cortile. Noi andiamo avanti.

Tre anni

Sono ormai passati tre anni e qualche mese da quando ricevetti una telefonata da Modena, in cui mi si chiedeva di poter “imparare il Bagua in tre lezioni”, più o meno. La prima risposta fu quella di chiedere all’interlocutore un prolungamento dei corsi almeno fino a cinque lezioni, in modo da capire e poter sentire realmente gli effetti di questa arte. Quando le prime cinque lezioni furono passate, ci fermammo a discutere che sì, andava tutto bene, ma si poteva fare meglio, e arrivare “almeno” a otto lezioni e completare un ciclo. Visto che tutto era andato bene, e che il metodo era piaciuto per la sua coerenza e la sua chiarezza, la risposta fu positiva.

Tre anni fa. Oggi posso dire che con Yuri Debbi e Monica Montecchi si sono realizzate molte potenzialità, grazie al fatto che essere buoni allievi costa fatica quanto essere buoni insegnanti. E per loro ci siamo fatti in due, Sergio ed io, per passare il massimo di stimoli e di conoscenza teorica e pratica. Ci vuole una disponibilità e un impegno non indifferenti per cercare sempre una comunicazione – specie all’inizio quando tutto sembra strano, ma anche nel mezzo perchè il programma sembra infinito. Alla fine, quando ci si avvicina alla fine del programma tecnico, le difficoltà sono ancora una volta diverse ma sempre quelle: ci si rende conto che non basta la tecnica, anzi… la tecnica quasi quasi è solo il punto di partenza. Occorre che la tecnica diventi istinto, spontaneità, risposta immediata e collaudata da molti incontri.

Tre anni per imparare la tecnica. Se avessi detto all’inizio a Yuri che erano tre anni, di sicuro non saremmo qui oggi a lavorare. Una “omissione di informazione” usata a fin di bene. E’ così facile non riuscire a portare a termine le cose, abbiamo mille giustissimi motivi e scuse sempre a disposizione, perchè la vita non è così semplice in effetti. Ma Yuri e Monica ci hanno dato dentro, e si sono dati da fare sempre per stare al passo, per fare domande, per praticare con consapevolezza. Hanno saputo fare scelte importanti. Tre anni per trovare un buon maestro, tre anni per trovare un buon allievo, si dice. Già, è così che è andata, e ancora mi piace pensare che per primi sono riusciti a portare a termine una sfida di trasformazione.

Sabato mattina 11 febbraio ci vediamo a Caldogno alle 9 per il nostro prossimo incontro.

八卦棍 Bagua Gun, il bastone del Baguazhang



Il Bagua Gun 八卦棍 è una delle armi più antiche che l’uomo conosca, e anche una delle più interessanti. Mezzo di difesa e di sostegno nei lunghi viaggi dei monaci, aiuto per camminare quando le gambe sono stanche, utile in montagna per salire le strade e per controllare le discese, buono per verificare che sul terreno non ci siano animali pericolosi, usato per costruire un riparo sotto la pioggia o per la notte: il bastone è un fido amico dell’uomo da sempre. Credo che sia dentro il nostro DNA cercare un bastone quando siamo nei boschi. Nonostante il detto che “il bastone è di Shaolin” (la sciabole del Bagua, la spada del Taiji e la lancia dello Xingyi), il maneggio del bastone viene spesso messo in relazione agli Otto Trigrammi anche negli altri sistemi  del Gongfu cinese, as esempio nell’Hung Gar e negli stili del Sud, per indicare la grande mobilità dei passi nel maneggio del bastone.

Infatti il bastone è uno strumento che richiede molta dinamicità per essere efficace ed utile, permettendo ai due contendenti di portare a casa la pelle senza farsi troppo male. Il bastone è fortemente imparentato con la lancia, altra arma tipica degli eserciti (la falange greca ad esempio) che del bastone usa molte tecniche, accanto all’enfasi sull’uso della punta. Il bastone, come la lancia, richiede anche una grande lavoro di gambe per scendere e salire di continuo, per attaccare parti basse e alte in sequenza fulminea, per deviare di pochi centimetri un attacco e rispondere con la massima potenza sulle mani, sui polsi e sul viso del nemico.

Musashi ha spesso usato bastoni al posto della katana per uccidere i suoi avversari. Il bastone contiene potenzialità che abbiamo dimenticato, come l’uso del bastone nelle mani del buon frate Tac di Robin Hood. Bastoni del viandante, bastone come strumento di viaggio, il bastone è uno strumento vivo, non di metallo (di solito) ma di legno, e quindi vive e respira con noi. Fin da piccolo ho avuto una simpatia per questo compagno di strada. Nelle forme che studiai quasi quarant’anni fa, il bastone era bello ma molto formale, le posture studiate per essere sceniche, e l’uso finiva per essere abbastanza limitato. Se c’è una cosa che il bastone non conosce nella pratica è il limite. Come nel Rushou, c’è sempre una soluzione ad ogni attacco, basta imparare a vedere e scorrere con l’avversario.

Se si è appreso bene il senso del camminare in cerchio, se gli otto palmi hanno scavato dentro il corpo con il Chan Si Gong e lo hanno educato, e se c’è una minima curiosità, il bastone diventa un bellissimo strumento immediato di lavoro che potenzia le spalle e il tronco, che obbliga le gambe a rinforzare i loro muscoli, e diventa una danza ininterrotta che accompagna la pratica e il lavoro a due. Non occorrono forme, basta usare il bastone a due in coppia con un buon partner per scoprire che ci sono otto angoli in ognuna delle tre dimensioni, più la quarta del tempo, e che lo scorrere del bastone è lo scorrere della nostra intenzione, in cima alla punta del bastone, o tra le mani dell’impugnatura centrale.

Prendete un bastone e cominciate a domandarvi come mai funzionerà il bastone. Fatelo girare e usate gli otto palmi come riferimento. Le sorprese non finiscono mai.

2017 – Youshenzhang



Vorrei iniziare questo nuovo anno con una citazione importante per gli istruttori di Baguazhang del terzo anno.

Scrive Cheng Tinghua (nelle memorie di Sun Lutang) sull’uso del Bagua Youshen: 

A volte si è a contatto, 
a volte ci si respinge, 
a volte ci si espande, 
a volte ci si contrae, 
a volte ci si separa,
a volte ci si avvicina,
a volte ci si scontra, 
a volte si va via.

Improvvisamente si scompare, 
improvvisamente si riappare,
a volte ci si separa improvvisamente, 
in modo da essere separati da più di tre metri, 
poi improvvisamente si ritorna in contatto,
finendo dritto davanti ai suoi occhi.

A volte usi le forza di tutto il corpo, 
a volte un solo dito, 
a volte solo una falange del dito.

Sii improvvisamente vuoto, 
improvvisamente pieno, 
improvvisamente duro,
improvvisamente morbido, 
senza una forma definita, 
cambiando imprevedibilmente.

Spero davvero che questo faccia cliccare qualcosa dentro la testolina di chi pratica un’arte marziale, e specie quelli che praticano Neijia con me. Rushou, Tuishou, Dashou, sono solo nomi di una unica realtà che cerchiamo di vedere. Non attacchiamoci ai nomi, ma alle cose importanti. Il Dao è Caos. Taiji è Caos. Bagua è Caos, DNA è Caos. Organizzare il Caos è il lavoro più interessante del mondo.