Il Baguazhang di Sun Lutang

Perchè ho scelto e pratico questo stile di Baguazhang, legato a Sun Lutang? Questa è la domanda che ogni praticante mi fa, quando ci conosciamo e cominciamo a parlare di stili e metodi. Nel mondo delle arti marziali cinesi il nome di Sun Lutang è molto noto e citato, il più delle volte a sproposito, perchè alla fine è diventato una specie di oggetto di studio sociologico a posteriori. La sua vita, intensa e spesso difficile, si presta a molte considerazioni, tutte basate su ricostruzioni e ricordi. I suoi libri sono molto citati, ma di rado sono stati letti, studiati e capiti, per non dire praticati. Il suo metodo è poco conosciuto anche oggi, perchè Sun viaggiò molto nella sua vita, dovette spostarsi spesso da un posto all’altro per poter lavorare, e pochi dei suoi allievi ebbero modo di seguirlo a lungo. Sun non si interessò mai ad una discendenza ufficiale, perchè era lontano da certi schemi, non gli si confacevano. Oltretutto eravamo in un tempo dove le influenze positive, gli incroci di sistemi, i confronti con altri insegnanti venivano integrati, perchè lo scopo era essere capaci ed abili al momento dato, non essere coreograficamente “diversi”.

Il suo Baguazhang è sempre stato un metodo “speciale” per tutti i praticanti dell’epoca: pochi principi (niente forme infinite), un modo di sviluppare il corpo e il movimento in torsione, passi circolari e potenza connessa per colpire efficacemente. Al Baguazhang si arrivava dopo un lungo percorso marziale personale, non si cominciava mai dal Baguazhang perchè ha richieste psico-fisiche troppo alte per un principiante. A Sun occorsero tre anni per entrare nel profondo del metodo, ma aveva alle spalle quasi vent’anni di pratica di cui tredici di Xingyiquan. Sicuramente possedeva un talento personale per le arti marziali, non sovrumano (anche qui l’aneddotica tende a mitizzare troppo spesso), ma delle grandi capacità. Non serviva reinventare i cinque pugni o i dodici animali, che bastavano già da soli, ma solo acquisire una nuova qualità di rotazione – torsione – avvolgimento, che avrebbe trasformato quello che lui già faceva.

La figlia di Sun, Sun Jianyun, non fu una praticante di Baguazhang, da giovane seguì il padre nel Taijiquan, l’ultima arte di Sun, e non come invece avevano fatto i figli maschi, purtroppo scomparsi giovani. Ad oggi quel che resta sono i suoi libri, una testimonianza importante che ha segnato un’epoca e creato il nuovo prototipo del maestro marziale letterato che la Cina di allora cercava per riscattare la sua immagine dopo la rivolta dei Boxer a Shanghai. Anche volendo andare a scandagliare oggi in Cina cosa resta di Sun e del suo metodo, si tratta di un lavoro improbabile a causa delle troppe contaminazioni.

La discendenza di Cheng Tinghua è molto chiara nello stile Sun, anche se la scelta degli Otto Animali è un elemento nuovo al tempo, presente trasversalmente in tutte le scuole di Baguazhang, la cui origine è ancora più misteriosa del suo fondatore. Sappiamo che Sun scrisse il Baguaquanxue sedici anni dopo la morte del suo maestro per timore che il suo metodo andasse perduto, come lui stesso scrisse. Già i metodi del Baguazhang andavano evolvendosi, modificandosi, trasformandosi, come si vede nel libro di Sun Xikun, di pochi anni dopo, simile ma già diverso. Il rischio era ed è di finire per diluire i principi, diventando un modo di “distinguersi” invece che un modo di assomigliarsi. Ognuno cercava di rendere il suo metodo unico a livello visivo, anche a costo di perdere l’aderenza alla realtà, e così dettagli tecnici di secondaria importanza divennero chiavi stilistiche fondamentali, al punto di dimenticare a cosa serviva la tecnica.

Nel tempo anche il Baguazhang perse la sua originale sinteticità e si sviluppò in mille metodi fatti di forme, sequenze, catene tecniche, perchè la sua “trascrizione tecnica” fu fissata da ogni scuola in modo cristallizzato, sempre allo scopo di distinguersi dagli altri. Un esempio sono i 64 palmi, lineari o circolari, che furono curati dopo la morte del fondatore da personaggi quali ad esempio Liu Dequan o Gao Yisheng, che avevano studiato Baguazhang con le prime generazioni, ma erano fortemente influenzati da altri sistemi. Mano a mano si andarono infatti aggiungendo elementi di Baji, Xingyi, Yingzhao, Luohan, Tantui, Tanglang, Shaolin (per non citarne che alcuni), sicuramente utili per spiegare alcune possibili applicazioni. Tutto giusto, ma spesso andarono ad appesantire e a limitare il movimento naturale del corpo che il Baguazhang intendeva sviluppare. Oggi spesso si ricorre ad un altro sistema per far “funzionare” il Baguazhang nel lavoro a due. A memoria posso citare almeno tre scuole che insegnano il Tanglang, il Bajiquan o lo Xingyiquan per spiegare l’applicazione pratica del Baguazhang, come se il Baguazhang non avesse applicazioni sue.

Il Baguazhang di Sun Lutang è estremamente semplice e sintetico (ma non facile), non perchè manchino elementi, come molti pensano, di dover aggiungere altre cose per “allungare il brodo”, ma perchè gli Otto Animali, i due Cambi di palmo e la postura di Wuji e Taiji contengono già tutto il metodo dentro, e non hanno bisogno altro che di una lunga pratica da solo e di un ancora più profondo confronto a due o più, a mani nude e con armi. Bisogna tornare a quel tempo per capire. Due principi, uno orizzontale, uno verticale e gli obliqui, e ben otto atteggiamenti legati a otto animali sono davvero una montagna di lavoro, se applicati nella realtà del combattimento per professionisti del settore, che dovevano allenare ciò che serviva e non 花手”hua shou”. E non esistono forme come le intendiamo noi oggi, perchè i principi sono singoli e ben individuati e vanno sviluppati attentamente e autonomamente. La forma uno se la costruisce dopo, se vuole, quando ha digerito i principi.

Poco è tanto, come insegna la ghianda della quercia. Il seme del principio va sviluppato: prima deve morire per poter essere fecondo, come insegna la Natura. Questo è il messaggio concreto di Sun, più preoccupato di ricordare i principi originari del Baguazhang, della sua conoscenza e di preservarlo, che di diventare famoso per un tipo speciale di movimento. In quasi quarant’anni di pratica e ricerca ho avuto modo di toccare molte discendenze di Baguazhang, alcune in maniera approfondita, altre in modo più superficiale. Ho avuto la fortuna di lavorare su almeno venti stili diversi, di alcune delle discendenze principali: Yin Fu, Cheng Tinghua, Liang Zhenpu, Ma Gui, Zhan Zhankui, e di approfondire la scuola Cheng delle terze e quarte generazioni fino alla scuola Gao, sia dalla Cina che da Taiwan, e via via fino alle quinte e seste generazioni oggi viventi.

Al momento di dover scegliere uno stile per praticarlo a fondo, la cosa è avvenuta in realtà come un processo evolutivo silenzioso per molti anni, e alla fine istintivamente mi sono reso conto che ho cercato tre caratteristiche per me irrinunciabili:
– la brevità della discendenza (nel caso di Sun siamo alla terza generazione, quindi meno manipolazioni e interpretazioni possibili)
– il metodo precedente al 1949 (dopo questa data tutti i metodi in Cina hanno sofferto molto per la rapida scomparsa dei vecchi maestri e gli allievi si sono sviluppati spesso da soli e di nascosto)
– l’essenzialità e la compattezza del metodo (i principi altrimenti si perdono in mille raffinatezze tecniche non essenziali).

Ho studiato e ristudiato per una vita il metodo di Sun con molti insegnanti europei, statunitensi, cinesi. Ho incrociato le referenze di questo metodo con molti altri sistemi interni ed esterni, e non solo orientali. Ho recuperato l’originale e almeno cinque traduzioni diverse dal cinese del Baguaquanxue e le ho confrontate. Nessuno maestro ha la verità finale del metodo, anche perchè dovremmo chiederla direttamente a Sun e non ai suoi successori. Ma il messaggio della sua pratica è molto coerente e forte: praticare, praticare, praticare, non ci sono altri segreti in questo mondo. La comprensione passa attraverso la pratica. Il metodo di Baguazhang di Sun richiede che il praticante entri dentro lo spirito della postura e del movimento, e che lo sviluppi con attenzione e con umiltà, verificando ogni passaggio e ogni movimento con la realtà del combattimento.

Non ci sono segreti: se c’è esperienza del combattimento, del corpo e del movimento naturale, ogni postura parla.

Questo è il punto zero del Baguazhang. Non una scatola, uno stampo in cui rientrare, una forma da ripetere in modo brillante e atletico, ma un movimento interno del corpo (quello del cielo anteriore) da vivere fino a diventare noi stessi un flusso unico in otto direzioni. Non perdo l’occasione di ricordare che Lianhuanzhang non è il nome di una forma, ma il principio profondo e sottile della continuità di movimento e intenzione. Anche Youshenzhang è un livello di pratica, non una forma, successivo a quello del Lianhuan ed applicato ad avversari, che contiene il principio di movimento naturale nel combattimento, come lo possiamo vedere nel Jianwu dell’Yiquan. Otto pali in movimento per costruire il corpo, due cambi principali per comprendere le dinamiche del movimento, e otto parole chiave per andare nelle applicazioni, nel cielo posteriore, dove le tecniche nascono naturalmente dal lavoro precedente e dall’esperienza di ognuno.

Baguazhang è una “macchina perfetta”, nella sua totale inafferrabilità: non è una forma – ma un modo di muovere il corpo e la mente, di trasformarsi e cambiare la realtà nel momento in cui vi entriamo. Baguazhang dice che dobbiamo diventare così abili, veloci e potenti da riuscire sempre ad adattarci. Con questa grande abilità possiamo controllare l’avversario. Sun parla sempre di Hua, trasformare. La trasformazione per eccellenza è quella dalla vita alla morte. La tecnica, alla fine, è davvero secondaria, ma il corpo e il suo condizionamento sono primari. Per questo amo il Baguazhang di Sun Lutang, perchè è semplice e onesto. Basta fare bene quel che abbiamo davanti a noi, ovviamente restando aperti a considerare qualsiasi esperienza come una verifica del lavoro fatto. Minimalismo funzionale. Nessuna concessione estetica. Lavoro nel profondo. Dalla mia esperienza, questa è una garanzia di successo.

Sto cercando di trasmettere questo alle prossime generazioni, perchè davvero anche questa qualità naturale del movimento non vada perduta. E’ una cosa che comunque avviene già da quando Dong stesso trasmise per la prima volta il Baguazhang, e so che molti insegnanti in gamba condividono questo pensiero, e lo insegnano di conseguenza.

Buona pratica.

Nella foto: Nove Palazzi in versione Fast & Furious con Sergio, Yuri e Monica, novembre 2016

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Sulla strada cosa funziona?

Quali sono i consigli che un esperto praticante di arti marziali, non più giovanissimo, potrebbe suggerirti, se gli chiedi che cosa funziona sulla strada e nella vita? I consigli sono sempre una cosa personale, ognuno ha i suoi o la vede in un certo modo, ma ci sono cose che tornano sempre, che tutti ripetono, e quelli in genere sono i migliori. Ecco alcuni dei più bei consigli che ho trovato validi.

1. Correre, camminare velocemente
Piuttosto che correre preferirei una camminata veloce, perchè è facile farsi male correndo, cosa che può metterci fuori uso per diverso tempo. Se abiti in un contesto urbano, è possibile trovarsi davanti più assalitori. Se pensi di poter distanziare dei ragazzi di vent’anni correndo, non hai una visione reale delle cose. Cerca di negoziare se possibile, ma se devi andarci dentro, fallo velocemente e brutalmente.

2. Saccone
Ottimo training, ma con un saccone è facile che ci si faccia male da soli. Se è un po’ che pratichi arti marziali, questa è una fase che hai già visto anni fa, e comunque non riuscirai a mettere ko un giovane, perchè nel frattempo hai perso una buona percentuale della tua forza fisica. Concentrati sulle dita, palmi, gomiti applicati sui punti deboli come occhi, orecchie, gola, genitali, ginocchia. Porta sempre scarpe solide, non i sandali.

3. Pesi
Ok, vanno bene, aiutano a tenere su la muscolatura e la forza delle ossa. Usali in scioltezza e velocità non per il volume muscolare ma per la resilienza. Usa il corpo per muovere i pesi, non le braccia.

4. Fajin
Se non hai ancora il Fajin, allenalo e imparalo bene , perchè a quanto pare non si deteriora nel tempo. Ha il vantaggio della sorpresa. Sequenze di fajing sono preziose alleate per concludere un incontro, il colpo singolo non basta quasi mai.

5. Forme
Sono utili per l’equilibrio, e se sono realistiche possono funzionare bene come boxe con le ombre. Usale per connettere il corpo da dentro (lavoro interno!!!) e non da fuori…

6. Armi
Dimenticati quelle tradizionali, pensa piuttosto a carte di credito, chiavi, monete in un fazzoletto, bastoni, bottiglie, ombrelli.

7. Confrontati
Continua a insegnare e di tanto in tanto buttati in mezzo con i tuoi allievi, è facile pensare di essere ancora allo stesso livello di prima: solo se provi capisci se è vero.

8. Consigli per un buono stile di vita
– Niente bevande gassate (ossa indebolite e diabete)
– Fast food al minimo (obesità, pancia da birra)
– Sonno regolare (tempi di reazione)
– Esercizi oculari (percezione dello spazio)
– Meditazione (mente chiara nel momento del confronto)
– Praticare le “fruste” del corpo (aumenta la velocità)

(tratto da: “The Rum Soaked Fist MA Forum”, un forum che ha un senso, non come altri forum italiani 🙂

Umiltà e coraggio

Ho scritto questo post nell’estate del 2018, in occasione di un fatto che mi ha piuttosto colpito. L’ho scritto ma non l’ho pubblicato in quel momento. Rileggendolo oggi credo che abbia comunque un valore da comunicare, e ve lo propongo.

***

Questa sera stavo rileggendo i classici del Baguazhang per l’ennesima volta, sia perchè l’atmosfera è quella giusta – tranquilla e silenziosa – sia per prepararmi all’evento del 10 novembre 2018, quando Yuri Debbi e Monica Montecchi concluderanno il loro percorso di allievi istruttori di Baguazhang e diventeranno insegnanti. Questo è un momento importante per loro che concludono un percorso e ne iniziano uno nuovo di zecca, ma anche per me, il loro insegnante, che mi sono preso delle responsabilità nei loro confronti. Questo mi spinge a condividere pubblicamente una riflessione che dovrebbe fare parte del bagaglio non tecnico ma di crescita personale che ognuno di noi ha nel suo zaino insieme l’esperienza, e che permette di riconoscere la buona pratica e insegnarla.

Quando nel 1990 ho iniziato ad insegnare Baguazhang eravamo in quattro o cinque in tutta Italia a praticarlo e quasi nessuno ne sapeva gran chè realmente – non solo come arte marziale ma anche di come funzionava in combattimento. Insegnavo allora in una palestra di Schio (Vicenza) dopo aver lasciato da istruttore la mia prima scuola di Kungfu dopo dodici anni con grande tormento. Le implicazioni al tempo per me non erano poche: ero diventato davvero un Ronin, un samurai senza padrone, e ci voleva coraggio ad andare avanti nella pratica da soli. Per fortuna ho avuto un gruppo di amici e maestri che mi hanno sostenuto in quel periodo di transizione, tra cui il maestro Yves Kieffer.

Una sera piovosa d’inverno mi vidi recapitare in palestra un plico manoscritto da tale Loriano Belluomini, il quale mi scriveva qualcosa del tipo: “caro Zanin, visto che anche tu pratichi Baguazhang mi piacerebbe conoscerti”. Da quella missiva nacque una longeva amicizia di trent’anni, visite, scambi, seminari dati e ricevuti, viaggi in Francia insieme per insegnare ed un grande affetto e rispetto reciproco, coltivato negli anni anche a distanza. Loriano ed io ci sentivamo affratellati dalla passione per un’arte marziale, che Loriano aveva avuto modo di studiare a lungo in Cina e con insegnanti di prima grandezza. Aveva contribuito con la sua conoscenza e i suoi disegni ad un mio libro sul Kungfu. Anche se la mia strada mi ha successivamente portato altrove, non per questo mi sono mai sentito lontano da lui o ho sentito il bisogno di giudicarlo, al contrario.

Questo avveniva nel 1990. Di recente invece ho assistito – ovviamente sul solito media dove esce il peggio di ogni persona – ad una vera e propria aggressione da parte di un paio di insegnanti di arti marziali nei confronti di un altro, colpevole del fatto che il suo “modo di muoversi” non piaceva agli altri due, lo paragonavano ad una ginnastica per anziani fatta male. Lo hanno aggredito in modo rabbioso, come quei cagnolini di taglia micro che devono sempre ringhiare a tutti per sentirsi sicuri. Le offese sono arrivate a livello personale, e per assurdo alla fine si sono ritorte contro di loro, che hanno fatto una figura meschina. Alla fine hanno dovuto ammettere che neanche loro sapevano perchè hanno scritto quello che hanno scritto.

Al di là della solidarietà per la persona attaccata, che gli ho chiaramente manifestato, ho cercato di non cadere nella stessa trappola e di non andare ad attaccare questi individui, tentazione fortissima data l’ingiustizia e la vigliaccheria del gesto. Dal canto mio mi sono limitato a chiudere i miei rapporti informatici e personali con loro. Mi sarebbe piaciuto scrivere ai loro insegnanti in Cina e chiedere se un comportamento del genere da parte dei loro allievi italiani lo ritenevano accettabile. La risposta sarebbe stata chiaramente no, perchè al di là della tecnica che può essere condivisa o meno, qua si tratta di educazione e maturità. Il maestro attaccato se l’è comunque cavata brillantemente anche senza il mio aiuto, da buon praticante qual è.

Se non c’è l’uomo, se non c’è consapevolezza tutto il resto, arte marziale compresa, è sprecato. Ricordo ancora un articolo del maestro Dan Docherty sui “guerrieri da tastiera” che affollano i forum e si dichiarano “maestri” con tanto di nome cinese, spiegando che solo loro insegnano la “roba vera” – quale? – e non si rendono conto di esporre in quel modo solo le loro debolezze. Chi abbaia sui media è in genere meno competente di chi si allena, perché perde tempo stando seduto e deve vincere strane battaglie interiori nella sua testa. Chi sa muoversi e sa usare le arti marziali non ha tempo per queste cose, perchè in genere preferisce allenarsi.

C’è chi cerca per tutta la vita, anche tra gli insegnanti, di “accorciare le linee” degli altri, e il mio consiglio è: statene lontani. Chi parla male degli altri purtroppo si qualifica da solo. Se proprio non potete dire nulla di positivo, tacete. Gli hater (odiatori) di professione sono una razza a cui è facile appartenere: basta non riflettere e dire le cose più stupide. Penso che invece allungare la propria linea sia la base di un buon modo di lavorare e lo consiglio a tutti, perchè si può serenamente godere della propria crescita tecnica e umana con gli amici e gli allievi negli anni. Soprattutto, possiamo essere utili agli altri insegnando loro come allungare le loro linee. L’insegnante è un facilitatore ed un educatore, appunto uno shifu, maestro e padre. Se tagliate i panni addosso agli altri, non siete utili neanche a voi stessi, state coltivando schifezze dentro la vostra testa invece che costruire qualcosa di buono. Altro che “maestro o padre”… o forse era proprio lì il problema?

Questo è il messaggio che vorrei passare a Yuri e Monica, e ai ragazzi del secondo anno, che tra una manciata di mesi completeranno anch’essi il loro percorso di Baguazhang, il percorso di trasformazione e di cambiamento per eccellenza. Ormai l’avete capito anche voi, che il percorso marziale è un cammino di crescita personale e non solo tecnica, di combattimento ma anche umana: occorre imparare a vincere le proprie paure, insieme ai pugni e ai calci. E’ essenziale mantenere sempre un grande rispetto nei confronti degli altri, perchè le nostre azioni ci qualificano, sempre.

Mantenere un livello di controllo costante e consapevole sui nostri pensieri, sulle nostre emozioni e sulle nostre azioni, questo è già lavoro interno. Anche se è di moda darsi grandi arie, scrivere che “solo noi abbiamo la verità”, ma soprattutto schiacciare gli altri per elevarci su di loro: lasciatelo fare agli altri, mantenete sempre un profilo discreto, alla mano, indipendente, pulito. Siate i primi a costruire e gli ultimi a distruggere. Lo scambio ed il confronto sono l’unica fonte di crescita. Bisogna imparare a distinguere con chi si può costruire qualcosa e con chi – purtroppo – non si può.

Un abbraccio

Lavori in corso!!!!

Mi scuso con tutti i lettori e gli allievi, ma l’inizio di questo 2018 è stato quanto mai ricco di avvenimenti e quindi siamo stati travolti…. ma presto tutta la cronistoria arriverà e anche qualche estratto dai nuovi lavori Ziran!

Approfitto per ringraziare tutti i ragazzi della scuola che stanno crescendo e impegnandosi per rendere la nostra attività brillante e piacevole. Un team composto da Fabrizio Contini, Sergio Uzzo, Simona Langeri, Luigi Zanini ed altri amici e amiche dall’Italia, insieme al nutrito team di Enrico Colmi, salperanno per la Scozia il 6 luglio per il 23mo TAI CHI CALEDONIA.

Prima di Calli sarò presente a Venezia ad AQUAVENICE con gli amici del CRT, un altro bel momento di condivisione, lavoro e star bene tutti insieme in un piacevolissimo contesto.

Ad ottobre, se tutto va bene, avremo il secondo MEETING ANNUALE ZIRAN nella cornice del Maggiociondolo sul monte Summano e con l’occasione avremo diverse novità e cose belle da condividere.

E poi un nuovo libro, che ormai mi accompagna da quasi tre anni ….

A prestissimo!

Luigi

Xingyiquan – Bologna 8 aprile 2018

Nel lontano 1990, al ritorno dalla mia esperienza militare, decisi che avrei dedicato le mie energie e la mia pratica alla ricerca nel mondo interno, perchè secondo me lì si trovava quello che serviva a coltivare un equilibrio ottimale di corpo e mente, cioè di muscoli e intelligenza corporea. Venivo da tredici anni di Kungfu (Gongfu), tra Shaolin, Tamtui, Tanglang, Baguazhang, e ancora Wingchung, Wushu, Taijiquan, in gran parte con il mio maestro e grande amico Stefano Bellomi. Con lui ne avevamo fatte di esplorazioni e di ricerche! Al di là della pratica quasi quotidiana, avevamo fatto dimostrazioni ovunque, scritto articoli, arbitrato gare, vinto gare, fatto viaggi, incontrato maestri, scoperto nuove pratiche che al tempo erano quasi esotiche, ma che oggi si trovano dappertutto.

Il primo sistema di combattimento “interno” per eccellenza in questa fase di scoperta fu per me lo Xingyiquan. Rappresentava il mio ideale di sintesi marziale, poca tecnica, una dozzina di movimenti di animali. Era l’ideale, per me che venivo da una scuola dove esistevano decine di forme a mani nude, decine di combattimenti “promessi”, armi, esercizi di riscaldamento, posizioni, e via via tutto quello che con Stefano avevamo accumulato per creare un curriculum ancora più bello e pieno. E’ stato un tempo incredibile, quando stai costruendo qualcosa ma sei talmente dentro al processo che non vedi il disegno globale. Non rimpiango quegli anni, che hanno creato la mia solida base di pratica, ma avevo bisogno di sintetizzare e focalizzare su poche cose.

Lo Xingyiquan lo avevo già intravisto in giro per il mondo, ma il primo che mi diede una visione sistematica e completa, integrata con la sua ricchissima filosofia fu il maestro ed amico Yves Kieffer, una delle colonne della scuola del maestro George Charles e della scuola San Yi Quan – Dao Yin. Ci conoscemmo tramite amici ad un seminario di Wing Chung, e da allora è nato un rapporto di amicizia e di condivisione che dura fino ad oggi. Insieme abbiamo scritto “Il Kungfu”, un libriccino che cerca di riassumere questa arte e che ha lasciato una impronta molto positiva nei lettori, nonostante oggi sia superato dalla tecnologia della comunicazione. In seguito abbiamo seguito insieme gli insegnamenti di Wang Qiang, maestro di Dachengquan e Qigong, in Francia.

Da Yves appresi la base, e da lì cominciò il lungo viaggio di scoperta, in genere incrociando le braccia durante i seminari che tenni e che ricevetti dal 1990 in poi in Francia, Germania, Scozia, States, Svizzera, Croazia e via via. Le persone qualificate con cui ho studiato sono molte, da Aarvo Tucker ad Allen Pittman, da Henry Look alla scuola del maestro Wang Shujin, a volte con personaggi meno noti ma non meno validi, oppure con amici di pratica provenienti da metodi diversi, condividendo pugni e racconti dei rispettivi insegnanti. Ho tradotto e raccolto in un piccolo testo, “L’arte della semplicità”, alcune interviste e articoli sullo Xingyiquan che mi sembravano importanti per una buona conoscenza e una degna pratica. Ai tempi in cui si spedivano ancora lettere, avevo una fitta corrispondenza con alcuni maestri negli States, tra cui un grandioso Kenneth Cohen in Colorado, a cui devo molto.

Quello che porterò a Bologna domenica 8 aprile 2018 sarà il risultato di quasi quarant’anni di pratica e ricerca. Pochi punti essenziali, lavoro e comprensione, e poi raffinare, ripetere, trasformare. Essenzialità, flessibilità e velocità: Xingyiquan è semplice in apparenza, ma non facile se si vuole andare in profondità. A me è servito fare esperienza in molte altre direzioni, dal Baguazhang al Taijiquan da combattimento al Krav Maga, per poi tornare a capire la saggezza del nonno Xingyi. E’ stato uno dei metodi più diffusi in Cina nei secoli scorsi per il suo accento sui fondamentali e sulla solidità, ed anche la prima vittima della diffusione del Gongfu, perchè non ha paillettes e lustrini per catturare l’attenzione del praticante di oggi. Nello Xingyiquan originario c’era molto di quello che Wang Xiangzhai ha estratto per codificare l’Yiquan: semplici pezzi da mettere insieme, capire e lavorare per raffinare le qualità del corpo-mente-spirito e uno spirito killer.

Xingyiquan è uno straordinario focalizzatore, come una lente d’ingrandimento quando si vuole concentrare la potenza del sole in un punto per dare fuoco. Senza lo Xingyiquan non sarebbe possibile capire il senso della linea retta nel Baguazhang, e viceversa senza Baguazhang non si possono capire gli animali e le microtorsioni nascoste accuratamente nello Xingyiquan. Non si tratta di imparare forme, ma di capire i fondamentali, e lavorare con corpo e mente insieme, spesso un’impresa per chi si fida troppo della sua forza fisica o troppo delle sua intelligenza. Una volta il corpo aveva la prevalenza, oggi lo ha la mente. Rimettere la mente al suo posto e fare sudare il corpo e farli dialogare insieme è una garanzia per combattere, per la salute e per stare bene.

Bologna, 8 aprile 2018, dalle ore 9.30 alle 13.00 e dalle 14.30 alle 18.00.
Aperto a tutti i livelli, ci saranno spunti e lavoro per tutte le capacità.

Crescere

C’è una certa differenza tra seguire e guidare. Anni fa con l’amico e maestro Gianfranco Russo abbiamo portato avanti il progetto “Atleta Coach Leader”, per rendere consapevoli gli insegnanti della sua scuola dell’importanza dei tre diversi ruoli, che richiedono competenze e abilità del tutto diverse tra loro, ma anche molto interconnesse.

Apprendere, imparare, conoscere sono fasi della vita necessarie per acquisire competenze ed abilità. In queste fasi occorre accettare gli insegnamenti come ci vengono impartiti e allenare le abilità fino a perfezionamento. E’ la fase analitica, in cui dal dettaglio si cerca di conoscere il generale. Seguire in questa fase è corretto.

Poi segue la fase dell’agire, del decidere, del guidare. La decisione non è più nelle mani dell’altra persona ma diventa la tua scelta, la tua visione. La motivazione non è più nell’immaginare cosa sappia l’altro, ma nel sapere che quello che sai non basta e devi svilupparlo, andare avanti. Non c’è più il gancio del fascino e del mistero, ma la responsabilità del volere andare avanti. Seguire in questa fase non è possibile, le persone guardano te e tu devi saper scegliere cosa è meglio per te e per loro.

Si impara metà da studenti e metà da insegnanti. Non c’è un meglio o un peggio, sono due fasi complementari, che ritornano nel tempo, perchè in realtà i migliori insegnanti sono quelli che restano studenti per tutta la vita, e nel loro profondo sanno gestire il sapore dolceamaro dell’incerta sicurezza o della sicura incertezza, andando in crisi il giusto e sapendo apprezzare quello che hanno raggiunto, ma senza arroganza.

Io studio ogni giorno, e insegno Baguazhang e Qigong solo a persone che vogliono mettersi in gioco in prima persona, che sanno insegnare ed essere guide autorevoli, ma che sanno anche mettersi in ultima fila, come il primo giorno, a ripetere i basics con uno spirito leggero e determinato. La vita è un esame continuo, ogni giorno arriva una nuova prova, e le arti marziali sono un vero riassunto di Eros e Thanatos, gli spiriti della Vita, che possono dare un sapore speciale all’esistenza.

Andare in palestra due ore a settimana è cosa lodevole. Se si vuole imparare a suonare uno strumento, a parlare una lingua, a costruire una casa, a cucinare, occorre qualcosa di più, non solo di tempo, ma anche di atteggiamento mentale. La prima regola è: essere onesti con se stessi e con la pratica. Allora anche se ci si allena da soli, con onestà e spirito critico, prima o poi si arriva da qualche parte.

E’ bellissimo vedere le persone che crescono. A differenza di tanti colleghi, sono felice di vedere persone che sentono il bisogno di prendere il più possibile, di capire, di andare avanti, e da parte mia non faccio segreto di nulla, perchè so che il processo è lungo e in salita. Se si portano via qualcosa dalla mia esperienza, sono solo felice, in realtà non sono di certo più povero io, anzi. In una logica di flusso e di costante trasformazione siamo costantemente in un rapporto di vasi comunicanti. Ma questo è un ragionamento lungo.

Stamattina ero al parco con Sergio Fanton, e ancora una volta mi sono sorpreso di quanta strada abbia fatto e stiamo facendo insieme, quante porte si aprono, quanti capitoli nuovi da aggiungere al libro della nostra pratica. A differenza di tante pratiche, qua si cresce ogni giorno, si aprono scenari in  continuazione. In questi momenti, quando si lascia il parco con l’emozione e il piacere di aver scoperto, capito, visto ancora qualcosa di nuovo, capisci che non ci sono limiti alla crescita.

(Nella foto l’istruttore e maestro Yuri Debbi in Baguazhang Lujiaodao)

Baguazhang 2.1 Unicorni

Con l’incontro di ieri mattina sabato 21 ottobre al solito parco di Caldogno, è ripartito il ciclo di incontri di Baguazhang per il corso istruttori in stile Sun Lutang scuola Ziran. E’ stata un’altra mattinata piena di cose interessanti, di scoperte e di illuminazioni, di battute e di risate, mentre il corpo e la mente si concentravano sulle forme del Leone e dell’Unicorno, e poi andavamo a scoprire le 8 applicazioni di ogni animale per comprendere non solo lo spirito ma l’efficacia diretta di questo bellissimo sistema.

Devo ringraziare tutti i ragazzi che ci hanno messo impegno e attenzione, e ricordo loro che la fase di apprendimento è nulla se non viene seguito dalla fase di sviluppo e di ripetizione delle applicazioni, perchè attraverso queste lo spirito degli animali, le catene cinetiche del corpo e le reazioni istintive si fissano nella memoria e nel corpo, e rendono l’arte davvero efficace. Collezionare movimenti o teoria non si allontana dalla sfera mentale, che purtroppo non è la stessa cosa.

Come dicevo di recente ad un corso di Qigong: il Qigong è una fenomeno largamente fisico, la mente serve solo a capire e a organizzare, ma non sostituisce neppure di un millimetro la pratica fisica. La mente è facilmente deviata, manipolata, intrappolata negli schemi. Il corpo invece ha il grande pregio di essere un fedele compagno, onesto e sincero fino alla fine. Fare è la chiave per arrivare al non fare.

Grazie Massimo Fabrizio Matteo Sergio e Simona.

Hannover, seconda edizione del Taiji Forum "Yangsheng"

Andare per l’Europa per partecipare ai seminari, grandi o piccoli, che ti vengono proposti, è sempre una grande opportunità e una grande sfida. L’opportunità è quella di farti conoscere, di condividere, di scambiare con altre persone e di incrociare le braccia, insomma di crescere un po’. La sfida è quella con se stessi, di riuscire a rendere il tuo insegnamento utile, intenso, pratico e ricordabile.

Ad Hannover, a casa di Nils Klug, dove da 17 anni si tiene il più grande festival di Tuishou di Germania, il secondo Taiji Forum è stata l’occasione per ritrovare amici di sempre, scambiare visite e studiare cose nuove, ma sopratutto per mettermi alla prova ancora una volta. L’argomento di quest’anno era uno di quelli belli, Yangsheng, nutrire l’essenza della vita, ovvero l’aspetto interiore nutritivo della pratica marziale.

E’ un argomento in cui è facile cadere nelle solite cose viste e riviste: respiro, sensazione, calore, pensiero positivo, corpo rilassato, “voemose ben”. Per fortuna così non è stato, perchè il team degli insegnanti, in buona parte tedeschi (giustamente), più qualche austriaco, scozzese, malese e italiano, era di buona, se non ottima qualità. Per me è stata la prima occasione di presentare tre aspetti integrati del Neigong del Baguazhang: il cerchio, il respiro e i meridiani straordinari.

E’ stata una tre giorni piena di cose belle, di chiacchierate con amici, di scambi di idee, di cene e di risate, ma anche di discussioni profonde e di begli incontri, Ho ritrovato amici e amiche che non vedevo da tempo, e questo dà veramente il senso della famiglia. Ci si rincontra, ci si domanda come va, e si scopre la vita delle persone, in un modo leggero e in un ambiente che aiuta, perchè il tempo è dedicato solo a questo.

Grazie ancora all’organizzazione di Nils e agli amici carissimi che vi ho ritrovato: Emmelie Stautz, Laura Stone, Nicky Deistler, Gordon e Tina Faulkner, Nils Elders, e tanti altri nuovi amici come Angela Menzel, Yunghui, e tanti altri. L’anno prossimo spero di vederne altrettanti in Scozia a Caledonia.

Essere parte della soluzione

Quando hai davanti un problema, o qualcosa che non hai previsto e che ti separa dal raggiungere ciò che vuoi o che devi, hai due possibilità: vedere tutte le difficoltà che questo comporta e focalizzare tutte le tue energie nel contemplare l’impossibilità della realizzazione. In automatico la mente comincerà a proporti mille e una spiegazioni razionali per giustificare l’impossibilità del raggiungere la meta. E quando sarai in grado di spiegare bene agli altri quante e quali erano le difficoltà, avrai raggiunto il tuo scopo: sei scusato.

La seconda possibilità è di guardare attentamente la situazione, rivedere l’obiettivo dove è collocato, e cominciare a usare tutte le risorse del cervello e dell’intuizione (intelligenza universale) per trovare un’altra strada e arrivarci. Automaticamente (anche qui) la mente comincerà ad arrabattarsi e a contorcersi per partorire una nuova soluzione, cercherà negli angoli più nascosti, nei ricordi ancestrali, negli angoli bui della memoria (dove per esempio avevamo vissuto situazioni difficili) e farà saltar fuori la soluzione. Basta esserne certi, ed avverrà. Lo scopo sarà raggiunto: ce l’hai fatta.

Questo si chiama “far parte della soluzione”: se facciamo parte del problema, come nel primo caso, non saremo mai in grado di risolvere il problema, perchè la mente sta guardando dappertutto… ma all’indirizzo sbagliato. Abbiamo creato noi stessi le premesse (il posto sbagliato, cioè: cosa non va?) per il nostro insuccesso. “Far parte del problema” è uno degli atteggiamenti più facili, in voga non solo da oggi. Se fai parte del problema, e ci sono persone che invece risolvono, la mente cosa farà? Andrà di volata a cercare come scusare se stesso per non avercela fatta, e spesso questo passa per lo screditare l’altro, che ci sta riuscendo. Fare piccoli gli altri è indice di grande paura.

Nel mondo marziale ci sono quotidiani esempi di chi fa parte del problema. Essere parte della soluzione richiede tre ingredienti che tutti abbiamo dentro di noi, ma che costa fatica tirare fuori: la responsabilità, il coraggio e la determinazione. In questi ultimi trent’anni anni ho attratto verso di me e mi sono fatto attrarre quasi sempre da persone che avevano queste tre caratteristiche: persone spesso difficili, complesse, dai caratteri forti e decisi, che però avevano l’onestà di fondo di ricercare se stessi e la comprensione delle cose come erano, e non come sembrano essere. Gli esempi di sprecano, Ronnie Robinson  è quello che mi balza alla memoria ancora oggi, per la sua lungimiranza, il suo disinteresse per le cose pratiche e per la grandezza delle visioni che ha avuto. Occorre autentica generosità d’animo per andare con coraggio nella direzione delle proprie visioni.

Quindi coltiviamo responsabilità verso noi stessi prima di tutto, di non prenderci in giro con insegnamenti superficiali, che non aiutano nella crescita nostra e delle persone che imparano da noi. Coraggio di andare lungo la strada in salita, e non sempre in quelle in discesa, prendendo schiaffoni, sbagliando obiettivi, leccarsi le ferite e ricominciare ogni volta che serve. Determinazione per non mollare mai, visto che tanto prima o poi dovremo lasciare le armi, e quindi meglio fare tutto quello che possiamo e vogliamo quando ne abbiamo i mezzi. Ne vale la pena? E’ una decisione personale. Io non riuscirei a insegnare diversamente, e ne accetto le conseguenze 🙂

Essere parte della soluzione è una meravigliosa attitudine che aiuta noi e gli altri a vivere meglio. Un sorriso, disponibilità, saper accettare che la gente e le cose vanno e vengono, tutto cambia costantemente, quindi niente di meglio che inserire nel navigatore della nostra coscienza la nuova rotta, scegliere cosa ci fa battere il cuore e andare avanti nella nostra strada. Sicuramente cammin facendo incontreremo altri compagni di vita, e con loro faremo altre cose, e scopriremo che se ci fossimo fermati prima, avremmo perso molto. E, davvero, qui l’età anagrafica non c’entra, c’entra solo la “tigna”, la resilienza, la determinazione, chiamatela come volete.

E come si fa ad avere “tigna”? Impariamo a fermarci e a vedere noi stessi dove siamo. Fermi immobili, senza giudizio, senza scappare. Non si chiama meditazione, qigong, o altro. Stiamo col presente. Così diventiamo parte della soluzione. E la nostra pratica diventerà una meraviglia, ogni giorno.