Di recente sono tornato sul banco di scuola e studio cose nuove. E’ come andare in bicicletta, è una abitudine utile sotto infiniti punti di vista, non ultimo di tenere il cervello e il corpo allenati a cambiare logica, quindi a restare plastici e capaci di rigenerarsi. Studiare e imparare sono le chiavi per non smettere mai di crescere.
Certo, dal banco di scuola le cose si vedono diversamente che dalla cattedra. Si ritorna a cercare di capire, a farsi domande, a dover superare momenti di difficoltà, di incertezza, si rimette un po’ tutto in discussione. Siamo bimbi in cerca di nutrimento. In questo processo di ritorno dietro ai banchi, una delle cose più importanti per me è stato capire l’importanza della forma e come va vissuta.
La forma è sempre stata vista come una cosa da imparare, da sapere, da praticare, da far vedere. Punto. La forma è un qualcosa di esterno, che va imparato come impariamo tante cose, ma resta un corpo estraneo, c’è un tempo in cui faccio la forma e uno in cui vivo normalmente. Finisce per essere un mondo chiuso: comincio e finisco la forma, poi faccio altre cose. Nei casi migliori, si pratica talmente tanto la forma che alla fine diventa un po’ un’abitudine, ma spesso finisce lì. Non c’è una reale interazione tra quello che ho imparato e il mio modo di essere.
Tornato dietro ai banchi, mi sono accorto (grazie all’esperienza di oggi, chiaramente) che lo scopo della forma non è di “registrare” la forma nella nostra testa, nelle nostre braccia, nel nostro corpo, ma di “entrare” noi stessi “dentro” la forma come se entrassimo nel mare, cioè di rinunciare a noi stessi (Wang Wuo) per fare in modo che il nostro corpo e la nostra mente diventino mare, diventino Taijiquan, ad esempio.
Questo “incarnarsi” della pratica richiede un atteggiamento molto proattivo, vivo, interessato, curioso verso la pratica. Non si può restare esterni al movimento, cioè mantenere un distacco mentale, una separazione tra Io e Forma. Lo sa bene chi tira pugni, il pugno diventa un modo naturale di esprimere un istinto, una emozione, non ci può essere spaccatura tra persona e pugno. Quando nuoti, o nuoti, o affoghi.
Quando impari a guidare la macchina, il pensiero di dover fare una cosa o l’altra è un grande impedimento alla fluidità del processo. Quando acquisisci l’abitudine, tutto avviene naturalmente ed hai anche il tempo di cambiare musica, parlare dal cellulare e cercare un documento in borsa. Non si fa, ma si fa.
“Entrare” nella forma significa acquisirne le caratteristiche, fisiche, mentali, psicologiche. E’ un percorso intenso, che richiede istruzioni dettagliate da parte dell’insegnante, un metodo chiaro e preciso e valido, e un atteggiamento intento, dedicato e analitico dell’allievo. E’ un punto d’incontro dove tutti quanti mettono molta energia e intenzione. Non funziona andare a traino, è una scelta precisa. Per questo il detto: tre anni per trovare un buon maestro, tre anni per trovare un buon allievo.
L’energia dell’insegnante deve essere precisa, chiara e forte, ma anche calibrata sul momento e su quello che l’allievo può capire. Non si può far mangiare un pollo farcito a un bimbo di sei mesi, ma senza nutrirlo, il bimbo muore. L’intenzione è di andare verso l’allievo.
L’energia dell’allievo deve essere dedita, chiara e flessibile, deve adattarsi a ciò che arriva, con una consapevolezza che non capirà tutto quello che sta facendo, ma ha fiducia e si lascia nutrire. L’intenzione è di andare verso l’insegnante.
L’energia della forma, che passa attraverso l’insegnante, è una energia che riguarda gli antenati, le persone che hanno tramandato questo patrimonio. Ogni passaggio ha dato origine ad una modifica, ad un cambiamento, ad una impronta “genetica” sulla forma. La discendenza è quindi importante per avere una qualità meno alterata dei principi. Anche la qualità umana della persona depone a favore (ma non è sufficiente) di una trasmissione libera da modifiche gravi o deleterie. L’intenzione della forma è neutra, dipende come viene trasmessa e come viene imparata, dalle intenzioni e dalle attitudini dell’interazione.
La cultura giapponese definisce con quel “da cuore a cuore” una trasmissione che altrimenti è impossibile riassumere. Nell’apprendimento risiede il cuore vero della qualità della pratica. Ciò che faremo, tutto ciò che applicheremo dopo dipende dalla sincerità e dall’intelligenza con cui ci siamo messi in gioco nel momento dello studio e del rapporto con l’insegnante. I rapporti non sono mai facili, ma l’essere umano vive di rapporti e relazioni.
Tutta la nostra giornata, tutti i nostri movimenti piano piano diventano Taiji. Questo è ciò che ho capito rimettendomi dietro i banchi di scuola, e trovo che sia davvero utile, perchè sono contento di quello che vedo. Quando ciò che penso, ciò che dico e ciò che faccio sono in armonia, allora sono felice. In fondo Taijiquan è questo.