Mese: aprile 2011
Tre anni per cominciare
Tratto da un’intervista al maestro Ren Da Hua, 94 anni, praticante di Dai Xinyiquan
“Dai Kui (il suo maestro) non insegnava a persone con una cattiva etica o stupide. Insegnava solo a persone con cuore.
Dai Xinyi è unico perchè usa yong meng (solidità e vigore), duan du (pugno corto velenoso) e dong zhuan kuai li.
In ogni caso una persona deve studiare per tre anni jibengong prima che gli possa essere insegnata qualsiasi altra cosa. Altrimenti il suo gongfu sarà inutile.
Non si possono imparare due arti marziali allo stesso tempo. Se uno vuole imparare Dai Xinyi deve cominciare dall’inizio e praticare solo questo. Altrimenti andrà in confusione. Una volta che hai imparato l’arte, puoi imparare quello che vuoi.
Non ci sono forme a due nel Dai Xinyi. Sono irreali. Non puoi aspettarti di crescere nel combattimento reale praticando forme a due persone. Prima impari i metodi del corpo e poi si pratica la proiezione o il colpire il tuo avversario mentre fai sparring. Nel passato Dai Kui faceva fare sparring un un cerchio con foglie secche a terra, per evitare che si facessero male. E’ anche importante evitare di colpire punti vitali.
Mo Jin/ Mo Jin insegna come cambiare le mani mentre si combatte con qualcuno.
Quando combatti qualcuno, i tuoi gomiti devono proteggere le costole (cuore) e le tue mani devono coprire la tua faccia. Comunque non montare una guardia nella stessa maniera della boxe. Aspetta che il tuo avversario attacchi e poi rispondi di conseguenza”.
(Da: Daixinyi Blog)
Pula, lo spirito del Serpente
Siamo ormai ad una settimana dal prossimo incontro a Pula, che si terrà sabato 30 aprile e domenica primo maggio. E’ davvero un seminario speciale, per molti motivi, e sono sicuro che chi parteciperà avrà una bella sorpresa. Con questo incontro inizierà un modo diverso di allenarsi, più costruttivo e più pragmatico, che aiuterà tutti capire meglio quello che stiamo facendo e a praticarlo efficacemente.
Lianhuanzhang 连环掌
Ho ritrovato degli appunti di pratica del novembre 2010, e mi è sembrato simpatico riproporveli.
Praticavo stamattina prima dell’alba sotto la pioggia di novembre. Era una di quelle mattine che arrivi pieno di sonno, aspettative zero, speri solo di avere abbastanza cervello per praticare bene quello che vuoi faree e abbastanza energia nei muscoli per tenere le posizioni basse. E così mi sono fermato, alla luce fioca dei lampioni, per qualche minuto con la speranza di svegliarmi.
Poi, apertura a sinistra, cambio singolo e guardia a destra, ho iniziato a camminare in cerchio in senso orario, lentamente, per rimettermi in asse. Chiudi, convergi, aggiusta i passi, la postura, ormai la routine il corpo la conosce bene, c’è sempre qualche cosa che sfugge alcontrollo. Lo stato di coscienza era uno stato in realtà di quasi trance, ma la sensazione piacevole del freddo alle mani e al viso e il progressivo risvegliarsi del corpo mi hanno pian piano portato ad un punto di grande serenità. Finalmente le mani calde e il primo sudore.
Man mano che le tecniche si affilavano e si approndivano, ecco cominciare a nascere una ricerca istintiva di nuovi movimenti, legati a nuove applicazioni, di nuove “modalità”, di nuove concatenazioni di tecniche, in maniera del tutto naturale, partendo dal movimento che il corpo ormai ha fatto sue le rotazioni, le torsioni, i capovolgimenti di fronte. Si armonizza tutto il corpo, il respiro diventa consapevolezza, Dantian ricerca la concretezza.
Per un’ora non mi sono mai fermato, ho soltanto “danzato”, camminato in tutte le direzioni, percorso i Nove Palazzi, cercato quelle strade nuove che si aprono solo quando la mente non c’entra più e sta tranquilla, perchè il corpo sa dove andare. Allora, e solo allora, non ci sono più preconcetti o regole, e le nuove anime dei movimenti arrivano e si manifestano. Da dove arriva questo movimento? Questa mano? Che bello questo movimento.
Poi c’è la verifica. Dove pratico c’è un capitello mariano, protetto da una lastra di vetro che con il buio del mattino funge da specchio. Riesco a vedermi e a controllarmi mentre mi muovo. E’ così che comincio a scoprire i miei difetti, i miei errori, la schiena fuori asse, le mani in ritardo rispetto alle gambe, dove le Sei Armonie mancano, dove credo di essere basso ma non lo sono. Momenti difficili, l’Ego non ci sta, ma è anche il momento in cui si cresce di più.
Dopo un’ora circa di continuo cerchio, che nel frattempo è diventato linea, microcirconferenze, nove palazzi, ancora linee dritte di andata e ritorno, torsioni sull’avampiede quasi volanti, come nello spettacolare Drago di Fu Chensung, dopo sessanta minuti ininterrotti di movimento sento che è arrivato il momento di chiudere. Comincio con molta molta calma ad aprire le braccia mentre il passo corre costante, lo allargo da sotto, raggiungo la postura del Drago, e rallento i piedi piano piano fino a che le mani sono tornate in basso su Dantian, e concludo gli ultimi passi con un Kou.
Silenzio. Immobilità. Il corpo parla, il cuore batte, il respiro si regola, il sudore cola, i piedi sono radicati, le mani calde, la testa spinge verso il cielo. Sono sereno. Dopo qualche minuto saluto, e mi incammino verso casa. Sono le sette, devo mettere su il caffè, c’è il cliente che arriva stamattina, e stasera a cena…. la vita continua.
(Nella foto, durante una dimostrazione con le Corna di Cervo a Stirling nel 2008 a Tai Chi Caledonia)
She Xing, lo spirito del Serpente
Il trigramma Kan è simboleggiato dall’acqua. La sua tattica marziale è ‘scorrere con il momento’. Kan significa essere ‘affondato dentro’. Ottiene lo ‘yang’ dal trigramma ‘Qian’ che tiene al centro, affondato nel mezzo dello ‘Yin’, che spinge le maree a crescere, e perché kan è ‘pieno’ nel mezzo. Kan risiede nel nord, dove fiorisce l’acqua. Se lo si guarda come una creatura ha l’aspetto del serpente. Questa creatura è la più velenosa, astuta e dannosa degli animali. Ha la capacità di separare e muoversi tra l’erba. Nelle sue abilità marziali utilizza la tecnica del ‘serpente bianco sputa la verità’ e la postura e l’abilità del ‘il serpente dalla doppia testa si avvolge attorno al corpo’. Quando si parla della sua strategia marziale è il ‘palmo che scorre con il ritmo’. Il serpente è morbido e scorrevole sulla parte esterna e dura e forte al suo interno. Il ‘dantian’ deve essere mantenuto pieno. Il dentro e fuori dovrebbe essere come l’acqua che scorre e segue, senza lasciare vuoti o spazi dove entrare. La sua forma è come le linee del trigramma del ‘kan’. Nel praticare i pugni correttamente il ‘dantian’ deve essere sempre pieno, se il dantian è pieno il percorso del cuore si svilupperà, come il cuore cresce il ‘fuoco yin’ sarà estinto dal ‘Zhong Xin’ (centro del cuore) , e la visione sarà chiara e non vi sarà alcuna preoccupazione di vertigini. Se i pugni sono praticate in modo errato l’acqua nei reni sarà vuota e debole, il fuoco del cuore non diminuirà causando vertigini e scarsa visione.
(Da: “Baguaquanxue” di Sun Luntang, traduzione di D. Glenn)
Manda il tuo cuore sulle montagne
Un vecchio pellegrino percorreva nel cuore dell’inverno il cammino che porta alle montagne dell’Himalaya, quando cominciò a piovere. Il custode della locanda gli disse: “Come farai, buon uomo, ad arrivare fin lassù con questo tempaccio?”. Il vecchio rispose allegramente: “Il mio cuore è già arrivato, seguirlo è facile per l’altra parte di me”.
Quando perdiamo la visione, basta pensare a chi ci ha preceduto sul cammino. Non c’è gara, non esiste competizione, perché nel vivere non ci si confronta mai con altri se non con se stessi. Il nostro cuore è già arrivato, dobbiamo solo sedere in meditazione o praticare per ricordarcelo 🙂
(L’intensa foto di Alfredo Lando di un vero pellegrino errante nell’Himalaya, l’amico e collega Tiziano Terzani, commenta un racconto tratto da “La preghiera della rana” di A. De Mello)
L’arte di correre
Parafrasando le splendide pagine di Haruki Murakami sull’arte del correre, non posso che sottoscrivere la sua visione della pratica di un’arte, della maratona come del Baguazhang, come una conquista quotidiana fatta di piccole vittorie personali. Siamo lontani, molto lontani dal mercato dei polli.
“Come vengano giudicati il tempo che ottengo in gara e il mio posto in graduatoria, come venga considerato il mio stile, è di secondaria importanza. Ciò che conta per me, per il corridore che sono, è tagliare un traguardo dopo l’altro, con le mie gambe. Usare tutte le forze che sono necessarie, sopportare tutto ciò che devo, e alla fine essere contento di me. Imparare qualcosa di concreto – piccolo finchè si vuole ma concreto – dagli sbagli che faccio e dalla gioia che provo.E gara dopo gara, anno dopo anno, arrivare in un luogo che mi soddisfi. O almeno andarci vicino – si, probabilmente questo modo di esprimermi è più giusto.”
(Da: “L’arte di correre” di Murakami Haruki, Einaudi, 2009 – nella foto Murakami nella maratona di Atene)